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«Il rischio che vedo in questo momento è quello di essere un po’ pigri nella comprensione di ciò che sta accadendo e di “giocare” con delle categorie che sono, in realtà, conchiglie vuote. Ad esempio l’opposizione progressista-conservatore e quella continuità-discontinuità. Ritengo invece che per analizzare il pontificato di Francesco la categoria da privilegiare sia quella dell’originalità in un momento storico specifico».
Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, gesuita come il Papa e autore di una lunga intervista con Bergoglio, analizza così il rischio del confronto continuo tra Francesco e Benedetto XVI.
Si tratta solo di pigrizia o c’è anche malafede?
«La Chiesa vive nella storia e il Signore agisce nella storia in maniera originale, creativa e quindi riconoscere il kairos, i momenti specifici che Dio fa vivere alla sua Chiesa significa viverli per quelli che sono e non ridurli attraverso categorie che non rendono ragione della realtà. Mi sembra che l’ermeneutica rischi di diventare un giochetto: se papa Francesco fa delle cose gradite all’ermeneutica "conservatrice" si dice che le hanno già fatte i suoi predecessori e se dice qualcosa che non è gradito si dice automaticamente che è in discontinuità con loro. A sua volta c’è il giochetto "progressista" secondo il quale tutto ciò che il Papa fa e piace è in discontinuità con i suoi predecessori, mentre quel che non piace lo si ignora completamente. Bisogna uscire da queste sabbie mobili e valutare non solo l’originalità di questo Pontefice, ma del momento storico che stiamo vivendo. Il Papa, in fondo, è uno strumento del Signore chiamato a svolgere la sua missione in un momento molto particolare e singolare della vita della Chiesa. Non sono contro l’uso delle categorie ermeneutiche ma dico che quelle solite non servono più per capire quello che sta accadendo».
Queste “sabbie mobili” sono un problema solo italiano o europeo?
«No, l’incapacità di leggere al di fuori di questo schema è generale, in America accade lo stesso. Diciamo che può esserci una differenza tra la ricezione del mondo cosiddetto occidentale rispetto a Paesi completamente diversi e quindi a chiese più giovani dove si vivono dinamiche sociali anche diverse».
Come se ne esce?
«Con tanta umiltà. Bisogna anche dire che in questo momento non c’è solo la piazza ecclesiale, la Chiesa, che è interessata a quello che dice e fa il Papa: la sua figura e il suo messaggio interessano molti e coinvolgono tutto il sistema mediatico. Il compito del credente è di colui che guarda alla storia con occhi nuovi, più freschi. Deve essere capace di leggere la realtà da punti di vista differenti. Consideriamo inoltre che una delle categorie fondamentali per capire questo pontificato è quella della "periferia". Mentre nel centro tutto è e deve essere chiaro e distinto, distillato, composto, la ricezione del suo messaggio nelle periferie può essere accidentata, non perfetta e non ben sintonizzata. Però molto meglio una ricezione accidentata del Vangelo che un silenzio assordante. E il Papa parla innanzitutto alle periferie. Occorre dunque maggiore attenzione e apertura di occhi e orecchie. Fare insomma, direbbe papa Francesco, un lavoro di discernimento che non è giudizio sociologico ma è capire qual è la volontà di Dio nel momento presente, per la Chiesa e per il mondo».
Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, gesuita come il Papa e autore di una lunga intervista con Bergoglio, analizza così il rischio del confronto continuo tra Francesco e Benedetto XVI.
Si tratta solo di pigrizia o c’è anche malafede?
«La Chiesa vive nella storia e il Signore agisce nella storia in maniera originale, creativa e quindi riconoscere il kairos, i momenti specifici che Dio fa vivere alla sua Chiesa significa viverli per quelli che sono e non ridurli attraverso categorie che non rendono ragione della realtà. Mi sembra che l’ermeneutica rischi di diventare un giochetto: se papa Francesco fa delle cose gradite all’ermeneutica "conservatrice" si dice che le hanno già fatte i suoi predecessori e se dice qualcosa che non è gradito si dice automaticamente che è in discontinuità con loro. A sua volta c’è il giochetto "progressista" secondo il quale tutto ciò che il Papa fa e piace è in discontinuità con i suoi predecessori, mentre quel che non piace lo si ignora completamente. Bisogna uscire da queste sabbie mobili e valutare non solo l’originalità di questo Pontefice, ma del momento storico che stiamo vivendo. Il Papa, in fondo, è uno strumento del Signore chiamato a svolgere la sua missione in un momento molto particolare e singolare della vita della Chiesa. Non sono contro l’uso delle categorie ermeneutiche ma dico che quelle solite non servono più per capire quello che sta accadendo».
Queste “sabbie mobili” sono un problema solo italiano o europeo?
«No, l’incapacità di leggere al di fuori di questo schema è generale, in America accade lo stesso. Diciamo che può esserci una differenza tra la ricezione del mondo cosiddetto occidentale rispetto a Paesi completamente diversi e quindi a chiese più giovani dove si vivono dinamiche sociali anche diverse».
Come se ne esce?
«Con tanta umiltà. Bisogna anche dire che in questo momento non c’è solo la piazza ecclesiale, la Chiesa, che è interessata a quello che dice e fa il Papa: la sua figura e il suo messaggio interessano molti e coinvolgono tutto il sistema mediatico. Il compito del credente è di colui che guarda alla storia con occhi nuovi, più freschi. Deve essere capace di leggere la realtà da punti di vista differenti. Consideriamo inoltre che una delle categorie fondamentali per capire questo pontificato è quella della "periferia". Mentre nel centro tutto è e deve essere chiaro e distinto, distillato, composto, la ricezione del suo messaggio nelle periferie può essere accidentata, non perfetta e non ben sintonizzata. Però molto meglio una ricezione accidentata del Vangelo che un silenzio assordante. E il Papa parla innanzitutto alle periferie. Occorre dunque maggiore attenzione e apertura di occhi e orecchie. Fare insomma, direbbe papa Francesco, un lavoro di discernimento che non è giudizio sociologico ma è capire qual è la volontà di Dio nel momento presente, per la Chiesa e per il mondo».




