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Per capire a fondo bisogna cominciare il racconto dalla fine, dal momento in cui Alessandro Preziosi, finito di girare e di montare Sotto copertura, la cattura di Zagaria (dal 16 ottobre su Rai 1), si è rivisto sullo schermo, nei panni del boss dei Casalesi, braccato dalla Squadra mobile di Napoli: «Ho provato un senso di ribrezzo, di fastidio nel guardarmi. È stato il momento in cui ho capito che il mio lavoro era riuscito: in quel momento ho sentito di aver reso l’oscurità del personaggio. Ho visto anch’io con i miei occhi che una figura così non la vorrei incontrare neanche a chilometri di distanza».
Non era la prima volta che Preziosi faceva il cattivo della situazione: era stato Consalvo nei Viceré, Edmund nel Re Lear, ma in quei casi si trattava di letteratura. Stavolta invece la fiction, otto episodi in quattro serate, si ispira a fatti realmente accaduti, a persone che davvero esistono: la cronaca ha raccontato la cattura, che l’attore definisce «rocambolesca», di Michele Zagaria, e ha narrato la tormentata vicenda di Vittorio Pisani, cui è liberamente ispirato il personaggio Michele Romano, capo della Mobile, interpretato da Claudio Gioè. A proposito, proprio nei giorni scorsi è stata confermata in Appello la condanna per calunnia del collaboratore di giustizia che aveva ingiustamente accusato Pisani, costringendolo a subire un processo da cui è uscito definitivamente assolto.
FINZIONE E REALTÀ
Alessandro Preziosi, per “diventare” l’uomo nero che alla fine ha rivisto sullo schermo, ha dovuto pescare da più parti: «A livello interpretativo ho trovato riferimenti nel mio retroterra napoletano: a certe immagini di prepotenza, che da bambino mi impaurivano e un po’ mi affascinavano, mi sono ispirato per il contesto. Alcune scene, poi, nella fiction sono state costruite appositamente per rendere l’idea di un uomo solissimo, nascosto sottoterra come un topo, che si ostina a cercare di controllare da lì sotto un mondo di fuori che fa acqua da tutte le parti. Ho avuto anche un preciso riferimento cinematografico: l’interpretazione di Ben Gazzara ne Il camorrista di Tornatore».
Come in ogni fiction che si rispetti c’è sacrosanto diritto alla finzione: persone e personaggi non collimano mai perfettamente. In Sotto copertura si mescolano il giallo, il nero, il rosa e una quota non piccola di azione che, in questo caso, la cronaca ha generosamente ispirato proprio nelle scene della cattura: «Ma a me», continua Preziosi, «nella recitazione interessava soprattutto rendere la complessità del mio personaggio, il modo con cui muove tante piccole pedine attorno a sé, vendendo ai loro occhi come legittimo ciò che, invece, è ingiusto, immorale, inadatto a un cristiano. Nel film si vede bene come riesca ad approfittare della debolezza altrui, a comprarne le ingenuità, le paure, facendo loro credere che la verità non è come i buoni la raccontano, che i buoni a loro volta mentono e allora tanto vale che il cattivo esibisca il lato più spietato».
Impossibile non chiedere se questo non ponga l’annosa questione del fascino del male “reale” al cinema, sorta fin dai tempi de Il Padrino: «Credo che non si debba mai smettere di educare il consumatore a distinguere tra realtà e letteratura, ma se un film o una fiction alimentano nelle persone condotte immorali fino ad arrivare alla violenza, il problema non è del cinema, è della società. Detto questo, forse possiamo ammettere che Il Padrino mostrasse il fascino del male, ma nella nostra fiction le distinzioni tra bene e male sono chiare, ben bilanciate».
Preziosi del resto aveva già affrontato il tema dal suo lato opposto: nel 2013 era stato don Peppe Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra, nella fiction a lui dedicata: «Rovesciare la prospettiva, cambiare pelle è l’essenza del mestiere dell’attore, che per conto mio si fa solo lavorando tanto, cambiando pelle spesso. Tra don Diana e Zagaria ho sfruttato le contraddizioni della mia napoletanità. Ho reso don Peppe nella sua esuberanza estroversa, cercando di somigliargli. In Zagaria, invece, ho voluto rendere la parte nera, indispensabile a cogliere, pienamente, per contrasto, la luce del bene anche in senso cristiano».
Pochi sanno che Alessandro Preziosi in una vita precedente si è laureato in Giurisprudenza a Napoli. Sarebbe un uomo di legge se non avesse fatto l’attore? «Non lo so. Studiando mi sono fatto l’idea che la legge nel nostro Paese sia troppo complessa per funzionare come dovrebbe e credo che questo mi abbia allontanato. Ho subìto, invece, il fascino del teatro che rende possibile quello che non è reale: sono uno a cui piace sognare».



