PHOTO
Il rapporto tra uomo e natura, l’amore, il lavoro, lo sfruttamento dei migranti, la condizione femminile. Sono alcuni temi affrontati da Antonio Castrignanò nel suo ultimo album, Babilonia, premiato come il secondo miglior album di World Music Mondiale per l’anno 2022 nella prestigiosa World Music Charts Europe e con il riconoscimento di “The Best South European Album”.
L’ultimo lavoro del musicista e compositore salentino, tamburo solista nell’orchestra popolare della Notte della Taranta, è stato preceduto da due singoli: Taranta World, una fantasticheria elettrica sulla pizzica, tra fiamme rituali e i suoni specchianti del contemporaneo. Masseria Boncuri, che vede la partecipazione di Enzo Avitabile, ed è il luogo simbolo della lotta contro il caporalato, è un potente groove di corde intrecciate a percussioni che attinge alle sonorità del Mediterraneo per raccontare la realtà e lo sfruttamento nei campi pugliesi. Oltre ai musicisti che da sempre affiancano e sostengono Castrignanò, il disco ospita numerosi artisti internazionali: la cantante del Gambia Sona Jobarteh, unica musicista donna a suonare la kora, ossia l’arpa africana, il musicista e produttore turco Mercan Dede, la voce storica di Sud Sound System Don Rico e infine il cantante senegalese Badara Seck.
Che disco è Babilonia e perché ha scelto questo titolo?
«È una comunità allargata che condivide complessità ed emozioni dell’umanità attraverso la propria musica e lingua. Babilonia può essere un viaggio attorno al mondo e allo stesso tempo un giro al mercato sotto casa. L’album è un percorso immaginario in un luogo indefinito dove tutto si condivide e tutto succede attraverso la musica: una pluralità di volti, generazioni, culture e idiomi che affrontando temi universali del presente e del passato in un percorso personale con artisti e musicisti straordinari. Di solito quando produco un disco mi muovo su un doppio binario che viaggia da una parte a confrontarmi con l’immenso bagaglio della tradizione salentina ereditato nel tempo, con arrangiamenti, gusto ed energia personali; dall’altra invece a confrontarmi con la nuova scrittura che obbedisce più alle esigenze creative di un artista che ha voglia di scoprire, mettersi in gioco, rischiare e consegnare una propria traccia del presente. Babilonia appartiene sicuramente più a quest’ultimo filone».
Quali sono i temi affrontati?
«Quelli sociali. La musica è la prima forma di linguaggio per esprimere emozioni e sentimenti ma allo stesso tempo un mezzo per muovere le coscienze. Piaghe dell’umanità che da anni si ripetono nella stessa forma con attori diversi. Vedi lo sfruttamento del lavoro o il caporalato nei campi sempre presente in molti luoghi del mondo e non solo in quelli considerati terzo mondo, anche in Puglia, in Calabria, ovunque purtroppo continuano ad esistere ancora oggi esempi eclatanti. In passato era solo la nostra gente, madri, padri, nonni, zii a vivere le stese umiliazioni che oggi toccano ad altri "attori", i più sono immigrati. L’artista ha il compito di veicolare in modo poetico emozioni e messaggi, anche “scomodi” se necessario, e in particolar modo la musica popolare è stata da sempre la voce attraverso cui gli ultimi della fila hanno affrontato e denunciato ogni forma di oppressione, frustrazione, illegalità. La natura come bene comune. La cura della terra è uno dei temi che ritorna in questo disco. Pietre, piante, animali sono esseri viventi e risorse naturali con i quali l’uomo si è sempre confrontato, nutrito e curato, dando sempre risposte ai bisogni umani in un equilibrio che ha attraversato millenni. Oggi, se come genere umano abbiamo il dovere di preservare questo ancestrale rapporto. Le comunità contadine e pastorali hanno sempre rispettato tempi e spazi della natura e hanno trattato greggi, pietre e piantagioni come membri della propria famiglia. L’ulivo è stato un familiare per i salentini, oltre ad essere un testimone millenario a cui a volte erano legate vicende famigliari tramandate da generazioni».
Il punto di partenza è il Salento e il suo dialetto. Che cosa ha da dire questa terra nell'attuale contesto europeo segnato dalla guerra in Ucraina e dalle stragi sempre più frequenti e cruente nel Mediterraneo?
«Sono ferite che l'umanità non può perdonarsi e fanno parte di un "gioco" a cui tutte le potenze mondiali partecipano. L’accoglienza, per come la vedo io, è un dovere assoluto per il modello che stanno imponendo al mondo. Un modello basato solo su ricchezza e potere che genera disuguaglianze abissali, alle quali però non bisogna mai rassegnarsi».
In che modo, come ha detto nella presentazione del disco, la musica del tarantismo salentino può legarsi e aprirsi al mondo?
«La pizzica tarantata è una cura dell'anima. Mi piace immaginare che il suo ritmo ancestrale possa conservare la sua funzione catartica anche nella società moderna e che insieme ai valori che si porta dietro possa ancora essere un messaggio di speranza per il genere umano. Credo fortemente che sia una musica eterna, il suono delle viscere della terra che diventa il richiamo di una comunità sempre più larga e che come una calamita attrae anime da ogni dove che danzano e si nutrono di forza per superare le assurdità della contemporaneità».
Il linguaggio del disco è volutamente rivolto soprattutto ai giovani. Perché?
«Sono loro la nostra speranza. In questo lavoro ho inseguito spesso un incontro – scontro generazionale. Non bisogna pensare alla musica popolare come un’espressione ferma nel tempo da tenere in una teca polverosa, ma come un flusso continuo di un sapere antico che si confronta ogni giorno col presente. Un sapere da affidare a generazioni che oggi viaggiano alla velocità della luce e verso le quali, a volte, è giusto anche fare un passo. In Babilonia coesistono lingue, culture, generi, musiche, passato, presente, tradizione e sperimentazione. Volevo arrivare ai giovani, raccontare i vecchi, sia uomini che donne, e trattare temi importanti come il lavoro, la tutela di una lingua, del dialetto, del cibo, la difesa delle minoranze come strumento di dialogo, perché sono la vera ricchezza».



