Finalmente un programma di arte e cultura su Rai1. E al posto di Bruno Vespa poi. Per quattro puntate di seguito, sulla rete ammiraglia, con Geppi Cucciari a fare da testimonial a fianco di un critico di fama internazionale come Francesco Bonami. Alla scoperta di “un’arte italiana declinata in tutte le sfumature”. Che qualcosa stia davvero cambiando in una Rai troppo affollata di politici ed esperti di cucina? In realtà, dopo la seconda puntata, l’impressione è quella di un bluff. Dopotutto non è brutto, traduzione in immagini di un saggio dello stesso Bonami, non aiuterà nessuno ad avvicinarsi al mondo dell’arte e nemmeno  a riscoprire gli aspetti meno scontati delle quattro città che ha l’ambizione di raccontare. Presentato come un irriverente Gran Tour in quattro città simbolo del nostro paese, Venezia, Roma,  Napoli e Torino, con la nobile intenzione di sfatare un’idea troppo puristica del bello, il programma si è arenato in un guazzabuglio irritante di freddure e luoghi comuni. 

La stessa Geppi Cucciari, in genere spontanea e disinvolta, in questo caso appare non solo digiuna da ogni qualsivoglia cultura artistica, ma nemmeno desiderosa di carpire qualche perla di consapevolezza al suo erudito e poco simpatico compagno di strada. Un esempio per tutti. L’arte classica, simboleggiata dalle code dei turisti davanti ai Musei vaticani, è immobile. L’arte contemporanea invece è in movimento, tant’è vero che davanti al Maxxi la gente passeggia. E avanti così, con le immagini che volano velocissime da un monumento a una piazza, con uno stuolo di personaggi- attori, scrittori, giornalisti- spesso interpellati a sproposito. Sempre per sostenere “che tutti i gusti possono essere giusti”. Che forse siamo un paese immobile perché ci siamo seduti su un’idea troppo blindata del bello. Difficile avvicinare qualcuno all’arte contemporanea – se questo era lo scopo- con un linguaggio tra il banale e il cervellotico.

Il direttore di Rai1 Giancarlo Leone ha messo le mani avanti parlando di una “grande sperimentazione” e dando per scontato l’inevitabile flop degli ascolti. Con sperimentazioni come queste si finirà per dire, anzi per ribadire, che la cultura in tv non paga. Come spiegare allora il successo delle pur brevi quanto intense lezioni di un professore come Flavio Caroli, che in prima serata, a Che tempo che fa, ci tiene incollati al video spiegandoci i segreti delle opere d’arte e degli artisti, passando con disinvoltura da Caravaggio a Andy Warhol, senza ombra di saccenza? In certi casi non serve sperimentare, basta essere appassionati per appassionare.