Cavallerescamente un articolo di commento ai Campionati mondiali di ciclismo, svoltisi in Olanda, deve dire subito segnalare che le donne italiane hanno salvato la nostra spedizione con le medaglie di bronzo della altoatesina Striker nella prova juniores e della piemontese Longo Borghini nella prova élite. Le donne salvifiche non sono una novità per il nostro sport: basti pensare ai Giochi olimpici, alle schermitrici fisse sul podio, e a Londra quest’anno alla nuotatrice di gran fondo, bronzo e unica medaglia per noi in questo nobile e fondamentale sport acquatico.
Poi però si deve parlare dei professionisti, quelli ch con la loro prova su strada hanno chiuso la settimana iridata e hanno convocato le massime attenzioni anche come transumanza di tifosi: si parla di 400.000 belgi sciamati domenica dallo loro paese in quel di Valkenburg, provincia del Limburgo cioè l’Olanda accanto alla frontiera. Si desume dunque una sorta di felicità di massima per il successo di Philippe Glbert, un favorito della vigiilia per la verità non fremente (stagione tropo lunga), un belga vincitore di tante classiche ma sempre in crisi nel giorno cosiddetto dell’iride. Gilbert peraltro come belga ha un difetto che impedisce ai pur molto ma molto ciclofili belgi fiamminghi di adorarlo: è vallone, è francofono, e si sa che il paese è spaccato in due da sempre (con Bruxelles zona mista) per via di questa suddivisione storica, culturale, linguistica e per certi aspetti quasi quasi tribale.
Ha vinto, Gilbert, in solitudine, pochi importantissimi metri frutto di uno scatto motociclettoso, staccando tutti all’ultimo dei dieci passaggi sul Cauberg, che in Olanda chiamano monte (e i negozi di Valkenburg vendono piccozze per gli audaci escursionisti e stelle alpine per i cacciatori si souveniras), da noi vale poco più che un cavalcavia. Si diceva di circuito duro (106 km in linea poi dieci volte un anello di 16,1 km), in realtà non ci sono state grosse difficoltà e la selezione decisiva secondo noi sarebbe stata imposta da Gilbert, in superforma, anche in pianura: e infatti tutte le prove su strada non hanno visto ritiri causati dal logorio imposto dal percorso.
Gilbert primo su Hagen norvegese secondo e Valverde (quello del doping colpito solo in alcuni paesi, sì) spagnolo terzo, arrivati sgranati, senza sprint classico. Miglior italiano Gatto, tredicesimo. Ma ancora a un 3 chilometri dal traguardo potevamo sperare in Nibali, vivissimo sin lì, e avevamo visto in piena bell’azione Moreno Moser, il nipote di Francesco, il figlio di Diego, uno insomma che con quel cognome e in quella famiglia non poteva evitare di fare il ciclista, ed anche uno che,con i suoii 22 anni da compiere (il prossimo giorno di Natale) era il più giovane in gara.
Gilbert in un certo senso ha riproposto al ciclismo la legge antica dei belgi fortissimi nelle corse in linea,”les belges d’un jour”. Da un po’ di tempo il ciclismo si è mondializzato, parla inglese alla faccia del francese ed anche del fiammingo, e gli ordini d’arrivo elencano anche nei primissimi posti inglesi e australiani, statunitensi e colombiani, kazaki e lituani. Quella del passato, Italia e Francia e Belgio e Spagna, appare adesso una minigeografia riduttiva. Gilbert però sa di scuola antica. Evviva lui, ma il futuro è di altri, diciamo che ormai è di tutti i terricoli. Soltanto l’Africa sembra esclusa dalla nuova geografia vincente, a parte il Sudafrica bianco, ma forse è questione soprattutto di costo di una bicicletta da corsa.
Adesso resta poco da correre, e comunque si sta in Italia: il 26 la Milano-Torino che ritorna dopo un oblio organizzativo di cinque anni e dunque è di nuovo la corsa più vecchia del mondo (prima edizione nel 1876, su velocipedi, primo Paolo Magretti ingegnere), il 27 il Giro del Piemonte, il 29 il Giro di Lombardia, così bello quando è bello. Il prossimo anno Campionati mondiali ospitati in Italia, a Firenze e dintorni. Moreno Moser sarà troppo giovane o, consumato da altra gloria stagionale, troppo vecchio o almeno un po’ stanco?
Poi però si deve parlare dei professionisti, quelli ch con la loro prova su strada hanno chiuso la settimana iridata e hanno convocato le massime attenzioni anche come transumanza di tifosi: si parla di 400.000 belgi sciamati domenica dallo loro paese in quel di Valkenburg, provincia del Limburgo cioè l’Olanda accanto alla frontiera. Si desume dunque una sorta di felicità di massima per il successo di Philippe Glbert, un favorito della vigiilia per la verità non fremente (stagione tropo lunga), un belga vincitore di tante classiche ma sempre in crisi nel giorno cosiddetto dell’iride. Gilbert peraltro come belga ha un difetto che impedisce ai pur molto ma molto ciclofili belgi fiamminghi di adorarlo: è vallone, è francofono, e si sa che il paese è spaccato in due da sempre (con Bruxelles zona mista) per via di questa suddivisione storica, culturale, linguistica e per certi aspetti quasi quasi tribale.
Ha vinto, Gilbert, in solitudine, pochi importantissimi metri frutto di uno scatto motociclettoso, staccando tutti all’ultimo dei dieci passaggi sul Cauberg, che in Olanda chiamano monte (e i negozi di Valkenburg vendono piccozze per gli audaci escursionisti e stelle alpine per i cacciatori si souveniras), da noi vale poco più che un cavalcavia. Si diceva di circuito duro (106 km in linea poi dieci volte un anello di 16,1 km), in realtà non ci sono state grosse difficoltà e la selezione decisiva secondo noi sarebbe stata imposta da Gilbert, in superforma, anche in pianura: e infatti tutte le prove su strada non hanno visto ritiri causati dal logorio imposto dal percorso.
Gilbert primo su Hagen norvegese secondo e Valverde (quello del doping colpito solo in alcuni paesi, sì) spagnolo terzo, arrivati sgranati, senza sprint classico. Miglior italiano Gatto, tredicesimo. Ma ancora a un 3 chilometri dal traguardo potevamo sperare in Nibali, vivissimo sin lì, e avevamo visto in piena bell’azione Moreno Moser, il nipote di Francesco, il figlio di Diego, uno insomma che con quel cognome e in quella famiglia non poteva evitare di fare il ciclista, ed anche uno che,con i suoii 22 anni da compiere (il prossimo giorno di Natale) era il più giovane in gara.
Gilbert in un certo senso ha riproposto al ciclismo la legge antica dei belgi fortissimi nelle corse in linea,”les belges d’un jour”. Da un po’ di tempo il ciclismo si è mondializzato, parla inglese alla faccia del francese ed anche del fiammingo, e gli ordini d’arrivo elencano anche nei primissimi posti inglesi e australiani, statunitensi e colombiani, kazaki e lituani. Quella del passato, Italia e Francia e Belgio e Spagna, appare adesso una minigeografia riduttiva. Gilbert però sa di scuola antica. Evviva lui, ma il futuro è di altri, diciamo che ormai è di tutti i terricoli. Soltanto l’Africa sembra esclusa dalla nuova geografia vincente, a parte il Sudafrica bianco, ma forse è questione soprattutto di costo di una bicicletta da corsa.
Adesso resta poco da correre, e comunque si sta in Italia: il 26 la Milano-Torino che ritorna dopo un oblio organizzativo di cinque anni e dunque è di nuovo la corsa più vecchia del mondo (prima edizione nel 1876, su velocipedi, primo Paolo Magretti ingegnere), il 27 il Giro del Piemonte, il 29 il Giro di Lombardia, così bello quando è bello. Il prossimo anno Campionati mondiali ospitati in Italia, a Firenze e dintorni. Moreno Moser sarà troppo giovane o, consumato da altra gloria stagionale, troppo vecchio o almeno un po’ stanco?


