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“Per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte”: questa la motivazione dell’accademia svedese per l’assegnazione del Premio Nobel per la letteraturaallo scrittore ungherese László Krasznahorkai, paragonato a giganti come Gogol, Melville e Kafka,
Erano già anni che il nome dello scrittore ungherese László Krasznahorkai, nato nel 1954 a Gyula, compariva regolarmente tra i candidati al premio Nobel. Vincitore nel 2015 dall’International Booker Prize (primo ungherese nella storia del premio) , per l’intera opera, definita “visionaria e rigorosa , aveva esordito nel 1985 con Sátántangó, imponendosi subito come una delle voci più originali della narrativa ungherese contemporanea. Il libro, ambientato in un villaggio rurale in rovina, esplora la disperazione, la decadenza e la speranza illusoria — temi centrali in tutta la sua opera. In un villaggio ungherese abbandonato e fangoso, un gruppo di abitanti vive nella miseria e nell’illusione. Quando si diffonde la voce che Irimiás, un ex truffatore creduto morto, sta per tornare, la comunità cade in una frenesia di speranza e inganno. Tra pioggia incessante, rovina morale e cicli di tradimento, il romanzo mostra un’umanità paralizzata, in attesa di una salvezza che non arriverà mai. Una danza verso l’apocalisse in cui traspare quel nichilismo che contraddistinguerà l’intera sua opera (Melancolia della resistenza, Guerra e guerra, …).
Quando uscì il suo romanzo Il barone Wenckheim l’autore lo definì romanzo come il libro “unico” che aveva sempre voluto scrivere. Per i critici, indubbiamente un’opera importante, destinata a entrare fra i testi canonici della letteratura europea contemporanea e in cui riuscì a unire rigore formale e raffinate costrizioni letterarie alla leggibilità di un racconto moderno. Così scrisse Magali Cartigny su Le monde nell’aprile del 2023 sul romanzo:
«Il comico delle situazioni e dei personaggi si fonde con il disgusto per il mondo così com’è — in un paese, il suo, che lo scrittore sarcastico considera alla deriva.Nonostante le frasi e i monologhi che si estendono per diverse pagine, seguendo una sorta di “flusso di coscienza”, sul modello di quello di Molly Bloom alla fine dell’Ulisse di James Joyce) che trasporta il lettore da un personaggio all’altro senza farlo smarrire; nonostante le fratture nella narrazione, le digressioni filosofiche, nonostante lo scenario fatiscente di una città di provincia ungherese dove regnano il conformismo più piatto e un’autocompiacenza piccolo-borghese, ma dove bande di biker neonazisti impongono già la loro legge, schiacciando i volti sotto i loro stivali chiodati… Nonostante tutto ciò, è tornato riesce a trascinarci con sé...».
Il barone Wenckheim è tornato nel 2019 ha vinto anche il National Book Award for Translated Literature. In Italia i suoi libri sono pubblicati Bompiani tradotti da Dora Várkonyi, mentre Il barone Wenckheim da Natascia Pennacchi.


al cinema
Krasznahorkai è noto anche per la sua lunga collaborazione con il regista ungherese Béla Tarr (considerato uno dei più gradi registi contemporanei), per il quale ha scritto o ispirato diverse sceneggiature, tra cui: Sátántangó (1994), Le armonie di Werckmeister (2000), Il cavallo di Torino (2011).



