Christian Jacq, scrittore ed egittologo francese, dopo i cinque libri della saga di Ramses vara un nuovo progetto a lunga gittata con La tomba maledetta (Tre60).

Vuole presentarci lei stesso sia il nuovo libro sia la nuova saga?

Eroe di questo nuovo romanzo sull’antico Egitto, Setna fu un personaggio storico, figlio di Ramses II. Considerato come un saggio e un grande mago, fu anche archeologo perché fece restaurare dei monumenti dell’età d’oro delle piramidi. In questa serie di quattro volumi, il giovane Setna si confronterà con le peggiori sfide: il furto, da parte di un mago nero dai poteri formidabili, del più prezioso dei tesori: il vaso contenente il segreto di Osiride, quello della vita e della morte. Se il mago nero raggiungerà i suoi scopi, trasformerà questa reliquia in un’arma di distruzione e rovescerà il trono del faraone. Con l’aiuto della donna che ama, Sekhet, dotata di eccezionali poteri di guarigione, Setna intraprende una sorta di ricerca del Graal al fine di ritrovare il vaso di Osiride e di identificare il ladro. Il cammino sarà costellato di trappole e pericoli: Setna dovrà utilizzare tutte le risorse della sua scienza di scriba per affrontare una lotta spietata, quella della luce contro le tenebre.

Come scrittore e lettore, come si confronta con i cosiddetti thriller esoterici?

A mio parere, il thriller esoterico esige due qualità: innanzitutto, disporre di una documentazione seria su questo argomento, cosa che esige un lungo lavoro di ricerca. E poi, saper scrivere un thriller e mantenere un ritmo romanzesco sostenuto, cosa particolarmente difficile. Se questo genere di libro non è che il prodotto dell’immaginazione dell’autore, non mi sembra possa tanto appassionare.

Quanto c'è di finzione nei suoi romanzi? In che modo modella le vicende realmente accadute e i personaggi realmente vissuti per adattarli alle sue narrazioni?

Nei miei romanzi sull’Antico Egitto la realtà documentale occupa la parte predominante: i personaggi storici sono costruiti a partire dalla documentazione dei riti, della vita quotidiana, la descrizione dei templi e così via. Tutte le informazioni provengono dal mio lavoro di egittologo, dallo studio dei testi e dei monumenti. Come un coreografo mette in scena le immagini, io sono un coreografo delle pagine: attraverso le parole, faccio rivivere in un racconto “moderno” personaggi, situazioni, episodi che sono caratteristici sia dell’Antico Egitto sia di tutti i tempi. Lo scultore è definito come “colui che dà la vita”; io, come romanziere, artigiano, tento di dare la vita a personaggi che mi sembrano essenziali.

Perché, secondo lei, l'Antico Egitto ci affascina ancora?

Come hanno affermato i Greci, che hanno scoperto l’Antico Egitto, esso è una sorgente di spiritualità e saggezza. In un certo modo, noi siamo tutti degli antichi egiziani, eredi di una civiltà durata tre millenni e che ha fornito un numero considerevole di modelli sia nel campo dell’arte sia in quello del pensiero o della letteratura. Per gli antichi egizi, l’arte è un rito e le sculture sono degli esseri viventi, animati da un’energia creatrice che non si estingue nel corso dei secoli. Secondo Chateaubriand, gli egizi hanno inventato l’eternità. C’è un motivo per cui i valori trasmessi dall’arte e dai testi dell’antico Egitto faraonico, giustamente, continuano ad affascinarci. Per esempio, evocano le fondamenta della civiltà egiziana, il Maat, termine che si può tradurre con “verità, giustizia, armonia e coerenza”. Il Maat deve essere seguito tanto dallo Stato quanto dal singolo individuo, in modo che i deboli siano protetti dai forti e che la coesione sociale perduri, coesione che non è solo materiale ed economica, ma dipende da una giusta relazione con le forze creatrici simbolizzate dalle divinità.

Essere un autore best-seller la vincola nella scrittura? Ha mai paura di deludere editori, agenti, lettori, critici e così via?

Io scrivo quotidianamente dall’età di tredici anni, per me è una vocazione e un mestiere, nel senso artigianale del termine e quello che m'interessa prima di tutto è l’opera cui sto lavorando e che intendo completare, qualunque siano le circostanze. Un libro è una costruzione paragonabile a un edificio in pietra, in cui ciascuna pietra deve essere correttamente tagliata e messa nella giusta posizione. Il successo è una possibilità, non uno scopo e non determina quindi il modo di scrivere. Io non scrivo né per me né per qualcuno in particolare, ma per l’opera stessa, per trattare al meglio il tema che mi abita e che desidero far vivere. Poi l’opera non mi appartiene più, è offerta ai lettori che, in funzione della loro sensibilità, la fanno entrare nel loro mondo. Il successo è una questione di circostanze: Van Gogh non ha venduto che una sola tela nella sua vita, Mozart ha conosciuto trionfi e sconfitte. Io sono certamente molto felice di avere tanti lettori in un gran numero di Paesi; la loro fedeltà mi ha permesso di vivere con la scrittura e di consacrarmi all’opera che volevo edificare.

Cosa chiederebbe a un lettore de La tomba maledetta?

Mi piacerebbe domandargli se ha scoperto un nuovo universo, se ha vissuto il destino dei personaggi, condiviso i loro sentimenti e le loro avventure, se ha percorso dei paesaggi sconosciuti. Un romanzo può essere un viaggio che permette di superare i nostri limiti e le nostre piccolezze, interessandosi a territori dello spirito che non si conoscevano. Nell’Antico Egitto i libri essenziali erano chiamati “le anime della luce”: un libro può offrire al lettore un po’ di luce, un’apertura su una verità che non intravedeva, un cammino inedito sulla coscienza della vita.

Cosa non metterebbe mai in un suo libro?

Vietarsi di trattare un soggetto, qualunque esso sia, sarebbe autocensurarsi, in funzione della moda del momento. Ho numerosi temi per prossimi romanzi, senza sapere quali, domani, mi si imporranno come una necessità di scrittura