L’ultima regia di Valeria Golino, protagonista alla cerimonia di quest’anno dei David di Donatello, è stata la serie L’arte della gioia, tratta dal romanzo di Goliarda Sapienza. A pochi mesi di distanza Golino incarna la celebre scrittrice sul grande schermo in Fuori di Mario Martone, unico film italiano in concorso al Festival di Cannes. Non è un caso, ma una corrispondenza di amorosi sensi che passa attraverso la macchina da presa. 
Martone racconta che l’idea è venuta alla moglie Ippolita di Majo, sua sodale collaboratrice in fase di scrittura. I punti di partenza sono i libri L’università di Rebibbia, pubblicato nel 1983, e poi Le certezze del dubbio del 1987. Tutto però inizia nel 1980, quando Sapienza era in bolletta. Il successo di L’arte della gioia sarebbe arrivato postumo. Rubò dei gioielli in una casa ricca della capitale, e finì nel carcere di Rebibbia. Nelle prime pagine di L’università di Rebibbia si legge: «A ogni passo senti che vai verso il basso e che non potrai più tornare a essere come prima. Quei camminamenti sotterranei parlano di morte e conducono a tombe». In apparenza sembrerebbe l’incipit di un classico prison movie, ma poi tutto cambia. È quella scintilla che interessa a Martone. 
La vera prigionia è in verità “fuori”, come suggerisce il titolo del film. Mentre la “libertà” è dentro quelle mura sorvegliate. È una provocazione, s’intende. Ma a nascere sono legami solidi, e a volte addirittura le protagoniste sembrano rimpiangere i giorni (comunque duri) di Rebibbia. Goliarda Sapienza è stata più volte criticata per la sua visione, ma a Martone non interessa la polemica. Si sofferma sui paradossi, sulle sfumature, creando un inno alla sorellanza. Gira come se fosse in Francia, fa compiere alla sue attrici lunghe camminate, vagabondaggi notturni, come se omaggiassero Jeanne Moreau in Ascensore per il patibolo di Louis Malle. Accarezza le sue anime perse, esalta le loro fragilità, si muove per ellissi, soffermandosi sui piccoli gesti. 
È un gioco a due tra le ottime Golino e Matilda De Angelis, a cui a tratti si unisce anche Elodie. La capitale si trasforma in un luogo misterioso, impalpabile. È l’opposto di Il sindaco del Rione Sanità e Nostalgia, in cui invece la connotazione geografica era necessaria, essenziale. Fuori insegue una leggerezza perduta, invita a credere in una realtà diversa, e si rivela un film inaspettato sullo sguardo. Perché se fuori è dentro, e dentro è fuori, allora tutto è possibile in un tempo in cui non bisogna perdere la speranza