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UNA BIOGRAFIA DOCUMENTATISSIMA SU ETTY HILLESUM
Il ‘900 con la tragedia della Seconda guerra mondiale e l’orrore della Shoah ci ha lasciato in eredità figure straordinarie, riferimenti preziosi per chi aspiri a rapportarsi al dolore e al Male senza perdere la propria umanità. Fra queste Dietrich Bonhoeffer, che in Resistenza e resa ha teorizzato – e poi incarnato con la sua vita e le sue scelte – un modello “attivo” di reazione e impegno contro la malvagità, ed Etty Hillesum, la scrittrice ebrea olandese morta il 30 novembre 1943 a 29 anni nel campo di concentramento di Auschwitz.
Una figura, quella di Etty Hillesum, che nonostante la pubblicazione del Diario e delle Lettere (entrambi per Adelphi) non è ancora stata studiata a assimilata come merita. A colmare questa lacuna e a stimolare un nuovo confronto con lei contribuisce l’uscita di una dettagliatissima biografia, frutto di sette anni di lavoro, che ne ricostruisce la vita, il contesto famigliare e storico quasi giorno per giorno dal 1941 al 1943, avvalendosi di una quantità eccezionale di testimonianze: Etty Hillesum. Il racconto della sua vita di Judith Koelemeijer (Adelphi).
CHI FU, ETTY HILLESUM?
Chi fu, dunque, Etty Hillesum? Fu una ragazza di grande vitalità, tormentata, piena di relazioni, caratterizzata anche da una forte sensualità e intenso erotismo, a lungo alla ricerca di sé stessa. Veniva da una madre di origini russe e un padre olandese ebreo che fu per tutta la vita insegnante di materie classiche e preside di liceo. Ebbe due fratelli, segnati da episodi di fragilità psichica, soprattutto il minore, Mischa, peraltro un eccezionale talento del pianoforte. Anche per staccarsi da una famiglia a cui era molto legata, ma carica di tensione, dalla provincia si trasferì ad Amsterdam per studiare Legge. Al tempo Etty era una ragazza piena di dubbi, con l’ambizione di diventare scrittrice, ma ancora poco consapevole di sé.


L'INCONTRO DECISIVO CON JULIUS SPIER
Nella capitale avvenne un incontro decisivo: «Nel febbraio 1941 incontrò il chirologo tedesco Julius Spier, un terapeuta che usava la lettura della mano come punto di partenza per il trattamento psicologico, esperto di psicanalisi con una lettera di raccomandazione niente di meno che di Carl Gustav Jung», racconta Judith Koelemeijer. «Un incontro che le cambiò la vita. Divenne sua paziente, allieva e poi anche amante. Fu Spier a indurre Etty a scoprire la forza e la libertà dell’anima interiore e che l’odio non è mai la risposta giusta, nemmeno di fronte al male, perché “rispondere all’odio con l’odio non farebbe altro che trascinare le persone ancora di più nel fango”».
Etty si avventurò in un percorso che, passo dopo passo, la portò a scoprire la forza straordinaria nascosta nella nostra interiorità, dove si trova Dio, e di qui la capacità di fronteggiare anche le prove più dure senza mai indulgere alla violenza (e quello di Etty come maestra di non violenza è un aspetto ancora tutto da esplorare), alla vendetta, ma al contrario mantenendo una purezza inespugnabile: «Una volta è un Hitler; un’altra è Ivan il Terribile, per quanto mi riguarda; in un secolo è l’Inquisitore e in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima», scrisse nel Diario il 10 luglio 1942. La sfida insomma è stare dentro il male, quando questo ci circonda e sovrasta, senza cedergli la propria anima, senza accettarne la logica.
IL RAPPORTO CON DIO
In questo luogo affascinante e misterioso che è la propria interiorità Etty disse di incontrare qualcosa che chiamava Dio. E la sua fede sembra farsi più intensa proprio quando il male sembra trionfare e la speranza non avere più senso: «Sotto la guida di Spier e la fede salda del suo caro amico Henny Tideman, Etty divenne profondamente spirituale», spiega la Koelemeijer. «Sebbene fosse cresciuta come una ragazza ebrea - suo padre aveva studiato per anni in seminario e conosceva la tradizione ebraica come pochi altri - lei, come molti ebrei olandesi negli anni ‘30, era cresciuta in un ambiente integrato, ancora formalmente connesso alla comunità ebraica. Durante la guerra, tuttavia, Etty iniziò a leggere il Nuovo Testamento e gradualmente maturò un rapporto molto personale con Dio. Per lei, Dio non era un potere distante e dominante, ma “il bene dentro di sé”. Ciò che rendeva la sua prospettiva così sorprendente era la responsabilità morale che attribuiva agli esseri umani: solo l’umanità portava le conseguenze del proprio declino, Dio non aveva colpa. Ogni persona doveva prima “estrarre il Dio dentro di sé”, scoprire il seme della bontà sepolto nel profondo del proprio cuore: solo allora il mondo avrebbe potuto iniziare a guarire».
IL RIFIUTO DI FUGGIRE PER CONDIVIDERE IL DESTINO DEL SUO POPOLO
Mentre Etty percorre il suo cammino psicologico e spirituale per diventare sé stessa, il contesto attorno a lei si fa sempre più duro. L’occupazione nazista precipita verso la soluzione finale, lo sterminio degli ebrei. Per loro, l’unica possibilità di salvezza è correre il rischio della fuga, darsi alla clandestinità. La rete di amici, molti dei quali coinvolti nella Resistenza e quindi con le conoscenze giuste per sparire senza dare nell’occhio, le offrono ripetutamente la possibilità di fuggire, ma lei rifiutò sempre. Perché questa scelta? Qui emerge l’esito concreto del cammino spirituale di Etty, la sua personale risposta al Male: «Etty desiderava essere solidale con i suoi compagni ebrei che non avevano alcuna possibilità di nascondersi», dice l’autrice dalla biografia. «Decise, quindi, di "condividere il destino del suo popolo", rinunciando a ogni opportunità per garantire la propria sicurezza, una scelta che spesso incontrò la rabbia o l'incomprensione dei suoi amici. Va detto che Etty non aveva una chiara comprensione di cosa significasse veramente quel "destino". Come quasi tutti i suoi contemporanei, credeva che sarebbe stata mandata in un "campo di lavoro" in Oriente, non avrebbe potuto immaginare la triste realtà che si nascondeva dietro il nome di quel nome».
L'IMPIEGO AL JEWISH COUNCIL
In quest’ottica va letta anche la sua sofferta decisione di accettare un impiego al controverso Jewish Council, un ente composto da olandesi che mediava i rapporti con i nazisti, per limitare il più possibile gli effetti negativi dell’occupazione secondo i sostenitori, per salvarsi la vita anche a spese dei connazionali secondo i detrattori. «Etty era molto critica nei confronti del Consiglio Ebraico», dice la Koelemeijer. «Tuttavia, il 14 luglio 1942, dopo le insistenti sollecitazioni di suo fratello Jaap, scrisse una lettera di richiesta al Consiglio ebraico. Proprio quello stesso giorno ad Amsterdam ebbe luogo una grande razzia, durante la quale 700 ebrei furono catturati a caso dalle strade e deportati. Etty pensò che lavorare per il Consiglio Ebraico non solo le avrebbe offerto protezione, ma le avrebbe anche dato la possibilità di aiutare i suoi compagni ebrei, finché avesse potuto. Era convinta che anche i membri del Consiglio ebraico un giorno sarebbero stati deportati, cosa che effettivamente accadde. Etty lavorò per il Consiglio Ebraico fino al giugno 1943. Successivamente la sua “posizione protetta” terminò. Nel settembre 1943 lei e la sua famiglia furono deportate ad Auschwitz».


GLI ULTIMI ANNI FRA WESTERBORK E AUSCHWITZ E L'EREDITÀ SPIRITUALE
Etty era ormai pronta a vivere il suo destino fino in fondo. Volle restare nel campo di transito di Westerbork, poi trasformato in campo di concentramento, come volontaria per dare una parola di conforto a uomini, donne e bambini che arrivavano pieni di terrore e affamati e che poi, dal 1943, con l’accelerazione dei nazisti sulla soluzione finale, sarebbero stati deportati ad Auschwitz. Destino che toccò anche ad Etty e alla sua famiglia, eccetto il fratello Jaap.
Il giorno della morte – il 30 novembre 1943 – non è certo, ma calcolato pensando a quello che successe a tanti altri ebrei deportati ad Auschwitz per essere sterminati nelle camere a gas. Certo è invece il prezioso lascito morale e spirituale di questa donna: «Viviamo in un’epoca di crescente polarizzazione e odio crescente, con i politici che sempre più spesso mettono le comunità l’una contro l'altra. Queste sono dinamiche pericolose, e il monito di Etty che "ogni atomo di odio aggiunto a questo mondo lo rende ancora più inospitale di quanto non sia già" sembra più urgente che mai. Le sue riflessioni sono universali e senza tempo. La convinzione che, anche se non puoi cambiare le circostanze, sei sempre libero di scegliere come reagire ad esse, può offrire conforto a chiunque. Etty si rifiutava di considerarsi una vittima. Quella vasta libertà interiore e quella forza silenziosa continuano ancora oggi a ispirare persone in tutto il mondo».
Ascoltiamo, allora, Etty: «L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di altri uomini… Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera».



