United Colours of Football. Se l’Europa esce dall’Europa. Campionato continentale, confini allargati. Nel nome della globalizzazione, che rilancia rinnovate fratellanze e azzera rigurgiti razzisti. Globalizzazione positiva, mix di razze e popoli, non dettami di mercati finanziari drogati e fallaci.
C’è chi difende la bandiera di un Paese che non gli ha dato i natali e chi affonda radici in un altrove ben lontano dal Paese natìo. Spesso una miscela fra continenti diversi, più spesso solo fra paesi del Vecchio Continente. Un esempio, il più famoso: Zlatan Ibrahimovic. Gioca per la Svezia, dov’è nato. Ma avrebbe potuto giocare per qualunque altra nazionale, se i genitori avessero optato per un’altra destinazione. Papà Sefik, di etnia bosniaca, e mamma Jurka, croata, scapparono da un angolo d’Europa in fiamme, per via della guerra. Approdarono a Malmo, in Svezia. Lì nacque Zlatan, uno svedese di origini slave.
E’ il nuovo calcio, quello globale. Non fa eccezione l’Italia, scopertasi multietnica, anno dopo anno. Angelo Ogbonna, difensore torinista ancor prima che azzurro, è nato a Cassino, ma da genitori nigeriani. Mario Balotelli, ex interista poi volato in Inghilterra, è nato a Palermo e cresciuto a Brescia, ma i suoi genitori naturali venivano dal Ghana. Thiago Motta è nato in Brasile, prima di diventare italiano, pescando dalle radici venete dei suoi avi.
Un autentico melting-pot, quello di Euro 2012, nel solco dell’ultimo Mondiale: croati (ben 6 nati fuori dai confini nazionali) dal Brasile (3 giocatori in totale a Euro 2012, compreso il forte Eduardo, attaccante croato), dalla Bosnia, dall’Australia, danesi ivoriani (Okore), greci australiani (Papadopoulos), svedesi iraniani (Safari), tedeschi polacchi (Podolski e Klose), francesi d’Africa (Evra e Mandanda) e tanti altri.
Sedici squadre, poche fanno eccezione alla regola: soltanto Repubblica Ceca, Russia, Spagna e Inghilterra non hanno in rosa giocatori nati all’estero. E poi, l’altra faccia del calcio multietnico, natali in un Paese, radici in un altro: la Germania figlia dell’immigrazione (non solo Podolski e Klose, nati all’estero, ma pure Ozil e Khedira, tedeschi di origini turche, Boateng, radici ghanesi), la Francia e l’Inghilterra fondate sulle ex colonie, la Repubblica Ceca di Gebre Selassie (radici che affondano in Nigeria). E’ il nuovo che avanza, nel calcio d’oggi.
Francia e Inghilterra si sono pure trovate l’una contro l’altra, nella prima giornata del loro girone. Una partita, tante storie. E, soprattutto, la più multietnica, almeno finora. Gli inglesi, tutti nati in patria. Ma spesso da genitori o nonni inglesi d’adozione: i “caraibici” Cole, Defoe, Walcott, Lescott e Oxlade-Chamberlein, il “ghanese” Welbeck. Francia e Africa, un ponte culturale e calcistico. Evra è nato in Senegal, Mandanda nell’ex Zaire. Il resto, un patchwork di differenti origini, con il continente nero come denominatore comune. Guarda caso, la partita l’hanno decisa loro, i nipoti di immigrati sbarcati in Inghilterra e Francia con bagagli carichi di speranze. Joleon Lescott, avi caraibici. Samir Nasri, nonni algerini. Il primo ha siglato il vantaggio inglese, il secondo ha realizzato il pareggio francese. Due gol, il trionfo del calcio globale.


