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Primo: essere politicamente scorretti. Secondo: cercare alleanze. Terzo: combattere. Il vice direttore del Corriere della Sera Antonio Polito ha le idee piuttosto chiare per (ri)dare voce ai genitori lasciati in balia di se stessi e abbandonati da tutti: scuola, politica, religione. Polito è padre di una figlia di 23 anni e di due gemelli, un maschio e una femmina, di otto. «Dobbiamo chiederci», dice, «se stiamo trasmettendo qualcosa ai nostri figli». La risposta è no e lui in questo ginepraio allarmante vi si addentra con acume e delicatezza in un libro dal titolo perentorio: Riprendiamoci i nostri figli (Marsilio, pp. 176, € 17).
D’accordo, però come si fa?
«La prima cosa da fare è combattere, non dare più per scontato, come spesso facciamo, che alcuni tratti della modernità siano immutabili e che quindi, per quanto ci possano apparire contradditori e pericolosi, noi genitori li dobbiamo accettare perché tanto è così. Questo è un atteggiamento di passività presente nelle famiglie a seguito di un’egemonia culturale dilagante secondo la quale i giovani hanno sempre ragione».
Guai a toccarli, infatti.
«C’è una specie di culto della gioventù nella nostra epoca che ritiene che sottrarre i giovani alla tradizione culturale li renda più liberi di essere se stessi. Secondo me, invece, in molti casi accade il contrario. Bisogna costruire un’alleanza educativa».
In quale ambito si misura la distanza più ampia tra genitori e figli?
«La distanza tra le generazioni è comune a tutte le epoche, è normale che la generazione successiva sia diversa da quella precedente e certe volte si ribelli pure. Quello che io racconto nel libro è che oggi la generazione dei padri ha rinunciato a esercitare un modello di educazione e di crescita. Tutti noi ci siamo ribellati ai nostri genitori ma se il modello che ci viene presentato è quello di genitori che vogliono essere come i loro figli, i ragazzi non hanno più un modello al quale ribellarsi. Più che una distanza c’è una disruption, un interruzione del rapporto educativo tra padri e figli».
Qualche esempio?
«Il valore dello studio, il divertimento e il linguaggio».
Il primo chiama in causa la scuola.
«Oggi il valore dello studio è sostanzialmente ignorato. Al massimo c’è l’aspirazione dei genitori che dicono al figlio “studia per prendere la laurea”. La scuola non è più solidale con la famiglia su questo punto. Se un genitore dice ai propri figli che devono fare sacrifici per studiare e che devono farlo per loro stessi la realtà che vedono i ragazzi è tutt’altra: cioè una scuola che è diventata un diplomificio, un posto dove chiunque arriva alla maturità viene promosso e la selezione nel merito non funziona più. Allora che gli dico a fare a mio figlio di studiare se la scuola lo promuove anche se non studia ?».
Sul divertimento come sballo critica chi, come Roberto Saviano, vorrebbe liberalizzare le droghe leggere.
«Adesso c’è l’idea che se non ti sballi non ti diverti. Cioè, se non c’è uno smarrimento temporaneo della coscienza, ottenuto attraverso sostanze stupefacenti o alcolici, sei uno sfigato. Quando e perché questo è stato sdoganato come un modo normale di divertirsi? Oggi è difficile dire al figlio che questo fa male e non è normale perché tutto il mondo intorno al lui dice che non è così. Liberalizzando tutte le droghe che messaggio diamo ai nostri ragazzi? Che per divertirsi va bene perdere il controllo?».
Anche sul linguaggio degli adolescenti è molto critico.
«In una generazione che mette tanta enfasi sui sentimenti, come si fa a non capire che per descrivere uno stato d’animo ci vuole un linguaggio sofisticato. I dating show, che vanno per la maggiore, sono l’esempio lampante di come oggi il corteggiamento fra uomo e donna segua un modello televisivo e quasi meccanico».
Lei parla di genitori isolati e senza sponde. Ma le famiglie non hanno sbagliato nulla?
«Sì, hanno accettato questo stato di cose sulla base dell’idea, errata, che educare significa far raggiungere la felicità ai figli i quali vogliono che siamo gentili e simpatici con loro e non li rimproveriamo mai».
Tra tutte le agenzie educative (scuola, Chiesa, politica…) che un tempo supportavano i genitori qual è oggi quella la cui assenza è più devastante?
«Il problema cruciale è la scuola. C’è uno scollamento totale del sistema educativo italiano: la perdita di prestigio sociale e culturale degli insegnanti, la scuola trasformata in una sorta di industria dove contano di più i dipendenti dei fruitori, i genitori sono diventati i sindacalisti dei figli. Noi è un caso se siamo il Paese europeo con meno laureati e se tutte le classifiche internazionali certificano questo sfascio».
Anche la Chiesa secondo lei è un po’ in crisi e balbetta?
«Io non sono credente ed è noto ma sono perfettamente consapevole che i valori fondanti della civiltà occidentale e nascono col Vangelo e con la testimonianza di Gesù il quale ha fondato l’umanesimo in una società dove la dignità dell’uomo non era al centro. Non dimentichiamo che rivoluzione c’è stata quando Gesù ha cominciato a dire che gli uomini sono tutti uguali. L’uguaglianza, la libertà, la separazione tra Stato e Chiesa sono tutti concetti nati col cristianesimo e poi diventati capisaldi della cultura occidentale. Questo dimostra che non sono valori universali ma nascono in Occidente grazie alla civiltà giudaico – cristiana. Se nella società moderna si sono affievoliti questi valori è perché è venuto meno il ruolo del Cristianesimo. Questo è avvenuto perché forze potenti si sono mosse contro come il tentativo dell’Illuminismo di appropriarsi di quei valori ma è accaduto anche perché la Chiesa ha ceduto trasformando il suo insegnamento in una serie di prescrizioni morali. La Chiesa dovrebbe riscoprire, e in alcuni casi lo fa, la sua vocazione educativa perché è d’aiuto anche a noi laici. La tentazione della Chiesa oggi è di ritirarsi dal mondo in attesa di tempi migliori o di cedere alla modernità snaturando o svendendo i propri valori. Io credo che bisogna seguire la cura di papa Francesco, entrare interamente nella modernità e combattere per quei valori cristiani fondandoli sull’incontro con Cristo e non su una serie di regolette morali».


Lei diffida molto degli psicologi? Perché?
«Non mi fido di loro per una ragione molto semplice: gli psicologi sono medici che curano la psiche. Non credo che il disagio di oggi sia un problema di psiche e non vorrei che nelle famiglie passasse l’idea che quando c’è qualcosa che non va o un disagio in fatto di educazione sia un problema di psiche. Intendiamoci: gli psicologi fanno il loro lavoro quando c’è bisogno di un intervento psicologico ma affidare loro la questione educativa dei giovani mi sembra una grave riduzione. È un fraintendimento della nostra epoca, un tempo, quando si aveva un problema, si andava un po’ troppo dal prete, adesso si va un po’ troppo dallo psicologo».
Si parla tanto di come educare i figli. Il problema è che di figli non se ne fanno quasi più.
«Il calo demografico è il sintomo più evidente della crisi culturale ed educativa che stiamo vivendo. È la vera emergenza nazionale».
Ignorata da tutti, a cominciare dai politici.
«Trovo singolare e incomprensibile l’accecamento ideologico della cultura laica di fronte al calo delle nascite. Le trasformazioni della società contemporanea che la sinistra dice di temere di più sono tutte connesse al calo demografico, a cominciare dalla diminuzione della forza lavoro. Non riesco a capire tanto irrisione e sarcasmo nei confronti delle campagne di sensibilizzazione per la cura dell’infertilità, come quella fatta di recente del ministro della Salute Lorenzin. Ma cosa c’è di male a curare l’infertilità? Poi si arriva a 40 anni e si è costretti a ricorrere a tecniche, anche costose e invasive, di inseminazione perché non hanno curato l’infertilità. Però vedo dei segnali che qualcosa sta cambiando».
Tipo?
«Mi ha colpito la riflessione dello scrittore Christian Raimo, radicale, di sinistra, che scrive che il fatto che nella sua famiglia ci fosse una sorella è stato per lui una scuola dell’uguaglianza. La sociologa Chiara Saraceno che pure è un intellettuale progressista dice che i valori fondanti di una famiglia non possono venire trasmessi senza fratelli e sorelle. Oggi i ragazzi hanno quattro nonni, magari uno o due bisnonni e nessun fratello e cugino. Si tratta di ragazzi che vivono in famiglie non naturali e dove l’unico modello è quello di persone anziane. È una rivoluzione. Credo che questa sia una battaglia che i laici dovrebbero combattere accanto ai cattolici per il bene di tutti».





