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Mio nipote dopo la triennale sta finendo gli studi di Ingegneria in Spagna con profitto e alla fine resterà lì a lavorare. Anche mia nipote Clara, un 110 e lode in Legge, ora ha un bel contratto a Londra. La sua amica del cuore Benedetta, al liceo un po’ meno studiosa di lei, si è comunque laureata in Economia e anche lei ora lavora a Londra. Ma alla fine la nostra vituperata scuola prepara più che bene i ragazzi visto il loro successo nel lavoro?
Carissima Maria, ogni giorno si sente parlare di Pil, di crescita o recessione economica, così anche io mi sono interrogata su quale fosse il mio apporto alla crescita economica del mio Paese, quali fossero i beni e i servizi in più che si producono con il mio lavoro. La risposta che mi sono data guardandomi alle spalle dopo tanti anni di insegnamento è stata nel pensare agli studenti che negli anni si sono diplomati, laureati e che sono infine entrati nel sistema produttivo dell’Italia nei campi più svariati.
Ho capito quindi di essere, insieme a tutti i miei colleghi, dalle maestre delle elementari fino al prof. universitario, l’agricoltore che ha seminato e fatto crescere tante professionalità. Leggendo la tua lettera quindi mi sono al tempo stesso rallegrata e intristita. Rallegrata perché se i nostri studenti che vanno a studiare all’estero ricevono riconoscimenti, sia negli studi che nel lavoro, vuol dire che la scuola italiana ha fatto la sua parte e l’ha fatta bene.
Rattristata perché la ricchezza di ingegni che “produciamo” decide di andare all’estero a produrre quella ricchezza economica che sarebbe così importante restasse in patria. Perché accade? Forse non è tanto la scuola ad aver sbagliato ma chi dovrebbe creare le condizioni dello sviluppo in termini di scelte sia politiche che economiche. All’esportazione dei nostri cervelli invece non corrisponde l’importazione di altrettanti cervelli dall’estero e questo è grave proprio perché indica che difficilmente chi ha elevate competenze scolastiche viene a cercar fortuna da noi e, diciamolo, per fortuna questa non è colpa della scuola.



