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Che Ambra Angiolini sia ormai un’attrice di punta nel panorama del cinema e ora anche del teatro italiano è fuori discussione. In cartellone il suo nome impera e attira anche neofiti della scena nazionale, curiosi di vederla dal vivo e in panni diversi da quelli della conduttrice e diva del cinema italiano. Stavolta, i vestiti sono quelli de La reginetta di Leenane, al Teatro Franco Parenti fino al 2 novembre, ouverture a pieno titolo della nuova stagione teatrale del teatro diretto da Andree Ruth Shammah.
Il testo del pluripremiato drammaturgo, sceneggiatore e regista teatrale e cinematografico Martin McDonagh, per la regia di Raphael Tobia Vogel, racconta di un piccolo e disfunzionale nucleo familiare: Maureen (Ambra Angiolini), scapola quarantenne e disillusa, e Mag (Ivana Monti), la sua anziana e dispotica madre, costretta su una sedia a dondolo e con una mano fasciata. In termini moderni, diremmo il rapporto tra un caregiver e un paziente familiare.
Contesto: Irlanda di fine anni ‘90, per la precisione il casolare di una remota collina di un piccolo paesino della contea di Galway, affacciato sull'Oceano. L’atmosfera è cupa e densa, sostenuta fedelmente dall’imponente scenografia di Angelo Linzalata: si tratta dell’interno di una casa umile, pochi oggetti poveri, una palizzata che funge da muro portante sul quale è intagliata una grossa croce e una finestra, una sedia a dondolo che costituisce il perno prospettico della scena, un tavolo e un lavandino.
Maureen e Mag vivono della rendita di anni di convivenza forzata, di relazione parentale logora e ai limiti del grottesco, dove le dinamiche di potere e di dipendenza affettiva creano un gioco di uso e abuso da parte di entrambe le donne. Una situazione che, se estratta dal contesto di riferimento, è di un’attualità scottante. Così quando Maureen, per la prima volta dopo anni, riceve l’invito alla festa di addio di un vecchio amico in partenza per l’America, viene ostacolata da Mag, che si prodiga affinché alla figlia non venga recapitato il messaggio. Avendo incontrato il ragazzo portavoce dell’invito (Edoardo Rivoira) sulla strada di casa, Maureen scopre la bugia della madre e, dopo essersi vendicata verbalmente, va alla festa e torna a casa con un uomo, Patrick detto Pato (Stefano Annoni).
Un oltraggio increscioso per la madre, che il mattino successivo tenta di mettere in guardia l’uomo del fatto che la figlia sia stata ricoverata in passato in un ospedale psichiatrico. Nonostante la premessa, Pato continuerà a scrivere a Maureen, cercando anche di convincerla a trasferirsi con lui a Boston per cambiare definitivamente vita. Altro tentativo sabotato da Mag, che nuovamente distrugge la lettera indirizzata alla figlia.
Aldilà della trama, di grande pregio emotivo e psicologico, che utilizza il comico per affondare nel tragico nella maniera più affilata e straniante possibile, la modulazione della voce, dei gesti, del non detto e della violenza del linguaggio sia di Angiolini che di Ivana Monti sono di straordinario supporto alla drammaturgia. Anche l’appoggio di Stefano Annoni e Edoardo Rivoira, rispettivamente Patrick e il fratello Ray, risultano propedeutici a una narrazione serrata, magnetica e a tratti grottesca, a sottolineare volutamente l’enfasi caricaturale del testo originario.
Un’ora e quarantacinque di spettacolo scandita dalla chiusura di un velo nero sul cambio di scena e che, ogni volta, raccoglie applausi sparsi dal pubblico in platea. Da questa impostazione, Vogel dirige bene il gioco crudele tra madre e figlia: attraverso Ambra Angiolini e Ivana Monti, racconta il lato più oscuro dell’amore, quello che si trasforma in controllo, dipendenza, bisogno di essere visti.
Uno spettacolo feroce e attuale, che dietro la comicità amara costringe lo spettatore a guardarsi allo specchio. Perché, in fondo, ognuno di noi ha conosciuto una “Mag” o una “Maureen” dentro casa propria.



