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Deserto della Giudea 33 d.C. L’oste si rivolge al soldato lacero e sporco. «Vieni da lontano?»: è “la” domanda, quella che accompagna tutta una vita, che indirizza il cammino tra dubbi e ricerche. E permette al tribuno Clavius, che alla fine lascerà sul tavolo l’anello che attesta il suo status, di fare memoria della settimana che lo ha sconvolto.
Sono le prime scene di Risen (Risorto), il film che, a partire dal racconto dei Vangeli, sviluppa una storia di finzione e segue i passi di Clavius, il soldato romano incaricato da Pilato di capire che fine abbia fatto il corpo di Gesù. Un’indagine che diventa ricerca interiore, nel momento in cui il protagonista incontra i discepoli («Stai cercando la cosa sbagliata», gli dirà Maria Maddalena) e poi lo stesso Risorto («Cosa stai cercando Clavius? Certezze, pace, un giorno senza morte?»). Il film — nella sale dal 17 marzo, diretto da Kevin Reynolds — ha come protagonista Joseph Fiennes, che ha presentato il film a Roma, anche alla Filmoteca vaticana, e ha incontrato papa Francesco con tutta la sua famiglia durante un’Udienza generale in piazza San Pietro.
Risen è la storia della risurrezione attraverso gli occhi di un non credente. Joseph Fiennes, che, oltre al pluripremiato Shakespeare in love, ha al suo attivo l’interpretazione di Martin Lutero, è cristiano?
«Direi che sono in divenire. È una pratica quotidiana, minuto dopo minuto, per poter arrivare a un punto, dire “sono questo” e da lì poi ripartire per poter giungere ad altro ancora… questo per me significa qualcosa. Mi sforzo, ci provo, non so cosa sono, ma sono in cammino».
In cosa crede?
«Come dice Amleto a Orazio “ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne contenga la tua filosofia”: potrei usare questa frase come mio biglietto da visita».
E come si è sentito nella scarpe di Clavius?
«Non ero nelle sue scarpe, ma nei suoi sandali. E c’è una grande differenza, le prime sono molto più comode! Mi è piaciuto interpretare un soldato romano, sono venuto a Roma, prima delle riprese, per fare le mie ricerche, per capire come era la professione del gladiatore, cosa concretamente significava far parte dell’esercito romano. Ben presto, dopo una serie di tagli e contusioni, ho capito che il modo in cui combatti esprime ciò che senti. I soldati romani erano un cervello collettivo, una macchina, un orologio svizzero. C’era una precisione brutale, ottimizzata, che guidava il loro esercito. Ho provato a mettere tutto ciò in Clavius, per quel che ho potuto. Mi sono calato nei suoi panni — nei suoi sandali — con questa idea, e ciò che mi è piaciuto è che, attraverso gli incontri e gli interrogatori ai seguaci di Cristo, questa mentalità, questo sistema di credenze che condiziona la sua vita, viene ridotto al nulla. Amo questo percorso interiore del mio personaggio».
Il film si svolge come una detective story, che però parla di una vicenda conosciuta…
«Sì, conosciamo il finale, ma nel film scopriamo Clavius. Un personaggio romanzato, che interagisce con il racconto dei Vangeli. Il film, con rispetto e discrezione, segue la Scrittura. Ad alcuni potrà non piacere, ma in generale credo che il mix di fantasia creativa e Scrittura sia un fattore di forza. Abbiamo tanti film “pesanti”, tristi, sulla passione e sulla crocifissione; invece Risen parte dalla crocifissione ma poi invita il pubblico ad andare oltre il dolore, parla della risurrezione con un messaggio che dà un senso di sollievo. È un capitolo importante, per tutti, credenti o non credenti, il tema della redenzione, del perdono, di una seconda possibilità nella vita. Clavius mette a morte, uccide, fa parte della squadra che crocifigge Cristo, e tre giorni dopo è perdonato».
Nel film come si sviluppa la relazione tra Clavius e Cristo?
«La relazione tra i due personaggi è molto sottile, occupa più o meno l’arco di una settimana. Clavius non è preparato a sviluppare questa relazione: si trova a un crocevia, è stato neutralizzato, non è più il romano di prima, il Clavius dell’esercito romano, l’uomo di fiducia di Pilato. Ora è solo, deve assumere questa relazione e svilupparla. Non va con i discepoli, non torna a Roma, sta nel mezzo del deserto e non sa dove vada a finire la propria strada. Alla fine dà il suo anello di tribuno all’oste, non può tornare indietro... la domanda resta aperta. Con l’attore che interpreta Gesù, Cliff Curtis, non abbiamo mai interagito, non c’è stata la distrazione di un caffè o di una chiacchiera. La prima volta che abbiamo incrociato gli sguardi è stato sul set, sulla roccia dove Clavius parla con Gesù. Al mattino il dubbio c’è ancora. È stato un sogno? Una conversazione reale?».
Secondo lei questo film cosa comunica a un credente e a un non credente?
«Un non credente, un agnostico, vede la qualità del film — un piccolo noir, con la grandiosità delle scene di battaglia dei romani contro gli zeloti — che però provoca perché parla del cammino dell’uomo. Chi non crede può leggere questa storia come una metafora della sua vita: è una narrazione positiva che ti permette di sollevare i fardelli che accumuli. Un credente lo vede come una conversazione sulla fede e sui dubbi. Il racconto è efficace, coinvolgente e non si sviluppa in modo didascalico o al contrario con una lettura revisionistica della Scrittura».
E in lei questa vicenda cosa ha mosso?
«Per me la redenzione e il perdono sono la cosa più importante. È difficile accettare di essere perdonati. Clavius in questo film è l’uomo del dubbio: dà testimonianza di ciò che crede sia la risurrezione, poi il giorno dopo è scettico, pensa ci sia un trucco… questo sono io. Pieno di dubbi. Ed è una cosa meravigliosa. In questo il protagonista del film e io abbiamo molto in comune. Cerchiamo di ridurre il caos per raggiungere una maggiore consapevolezza. Questa è la lotta».
Durante l’udienza a Roma ha salutato papa Francesco. Com’è andata?
«Ha incontrato migliaia di persone prima di me. Ma ciò che è stupefacente in lui è che in pochi secondi ti dà la sensazione di essere stato un’ora insieme. Ti guarda negli occhi e immediatamente la conversazione non è più importante. Sei connesso. È stato un incontro spirituale, autentico. È un uomo speciale, non ha bisogno di indossare vesti sontuose, è genuino. In un mondo come il nostro, in cui c’è una tale polarizzazione tra ricchi e poveri, questo uomo rappresenta qualcosa di importante, è il Papa della gente».
Sono le prime scene di Risen (Risorto), il film che, a partire dal racconto dei Vangeli, sviluppa una storia di finzione e segue i passi di Clavius, il soldato romano incaricato da Pilato di capire che fine abbia fatto il corpo di Gesù. Un’indagine che diventa ricerca interiore, nel momento in cui il protagonista incontra i discepoli («Stai cercando la cosa sbagliata», gli dirà Maria Maddalena) e poi lo stesso Risorto («Cosa stai cercando Clavius? Certezze, pace, un giorno senza morte?»). Il film — nella sale dal 17 marzo, diretto da Kevin Reynolds — ha come protagonista Joseph Fiennes, che ha presentato il film a Roma, anche alla Filmoteca vaticana, e ha incontrato papa Francesco con tutta la sua famiglia durante un’Udienza generale in piazza San Pietro.
Risen è la storia della risurrezione attraverso gli occhi di un non credente. Joseph Fiennes, che, oltre al pluripremiato Shakespeare in love, ha al suo attivo l’interpretazione di Martin Lutero, è cristiano?
«Direi che sono in divenire. È una pratica quotidiana, minuto dopo minuto, per poter arrivare a un punto, dire “sono questo” e da lì poi ripartire per poter giungere ad altro ancora… questo per me significa qualcosa. Mi sforzo, ci provo, non so cosa sono, ma sono in cammino».
In cosa crede?
«Come dice Amleto a Orazio “ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne contenga la tua filosofia”: potrei usare questa frase come mio biglietto da visita».
E come si è sentito nella scarpe di Clavius?
«Non ero nelle sue scarpe, ma nei suoi sandali. E c’è una grande differenza, le prime sono molto più comode! Mi è piaciuto interpretare un soldato romano, sono venuto a Roma, prima delle riprese, per fare le mie ricerche, per capire come era la professione del gladiatore, cosa concretamente significava far parte dell’esercito romano. Ben presto, dopo una serie di tagli e contusioni, ho capito che il modo in cui combatti esprime ciò che senti. I soldati romani erano un cervello collettivo, una macchina, un orologio svizzero. C’era una precisione brutale, ottimizzata, che guidava il loro esercito. Ho provato a mettere tutto ciò in Clavius, per quel che ho potuto. Mi sono calato nei suoi panni — nei suoi sandali — con questa idea, e ciò che mi è piaciuto è che, attraverso gli incontri e gli interrogatori ai seguaci di Cristo, questa mentalità, questo sistema di credenze che condiziona la sua vita, viene ridotto al nulla. Amo questo percorso interiore del mio personaggio».
Il film si svolge come una detective story, che però parla di una vicenda conosciuta…
«Sì, conosciamo il finale, ma nel film scopriamo Clavius. Un personaggio romanzato, che interagisce con il racconto dei Vangeli. Il film, con rispetto e discrezione, segue la Scrittura. Ad alcuni potrà non piacere, ma in generale credo che il mix di fantasia creativa e Scrittura sia un fattore di forza. Abbiamo tanti film “pesanti”, tristi, sulla passione e sulla crocifissione; invece Risen parte dalla crocifissione ma poi invita il pubblico ad andare oltre il dolore, parla della risurrezione con un messaggio che dà un senso di sollievo. È un capitolo importante, per tutti, credenti o non credenti, il tema della redenzione, del perdono, di una seconda possibilità nella vita. Clavius mette a morte, uccide, fa parte della squadra che crocifigge Cristo, e tre giorni dopo è perdonato».
Nel film come si sviluppa la relazione tra Clavius e Cristo?
«La relazione tra i due personaggi è molto sottile, occupa più o meno l’arco di una settimana. Clavius non è preparato a sviluppare questa relazione: si trova a un crocevia, è stato neutralizzato, non è più il romano di prima, il Clavius dell’esercito romano, l’uomo di fiducia di Pilato. Ora è solo, deve assumere questa relazione e svilupparla. Non va con i discepoli, non torna a Roma, sta nel mezzo del deserto e non sa dove vada a finire la propria strada. Alla fine dà il suo anello di tribuno all’oste, non può tornare indietro... la domanda resta aperta. Con l’attore che interpreta Gesù, Cliff Curtis, non abbiamo mai interagito, non c’è stata la distrazione di un caffè o di una chiacchiera. La prima volta che abbiamo incrociato gli sguardi è stato sul set, sulla roccia dove Clavius parla con Gesù. Al mattino il dubbio c’è ancora. È stato un sogno? Una conversazione reale?».
Secondo lei questo film cosa comunica a un credente e a un non credente?
«Un non credente, un agnostico, vede la qualità del film — un piccolo noir, con la grandiosità delle scene di battaglia dei romani contro gli zeloti — che però provoca perché parla del cammino dell’uomo. Chi non crede può leggere questa storia come una metafora della sua vita: è una narrazione positiva che ti permette di sollevare i fardelli che accumuli. Un credente lo vede come una conversazione sulla fede e sui dubbi. Il racconto è efficace, coinvolgente e non si sviluppa in modo didascalico o al contrario con una lettura revisionistica della Scrittura».
E in lei questa vicenda cosa ha mosso?
«Per me la redenzione e il perdono sono la cosa più importante. È difficile accettare di essere perdonati. Clavius in questo film è l’uomo del dubbio: dà testimonianza di ciò che crede sia la risurrezione, poi il giorno dopo è scettico, pensa ci sia un trucco… questo sono io. Pieno di dubbi. Ed è una cosa meravigliosa. In questo il protagonista del film e io abbiamo molto in comune. Cerchiamo di ridurre il caos per raggiungere una maggiore consapevolezza. Questa è la lotta».
Durante l’udienza a Roma ha salutato papa Francesco. Com’è andata?
«Ha incontrato migliaia di persone prima di me. Ma ciò che è stupefacente in lui è che in pochi secondi ti dà la sensazione di essere stato un’ora insieme. Ti guarda negli occhi e immediatamente la conversazione non è più importante. Sei connesso. È stato un incontro spirituale, autentico. È un uomo speciale, non ha bisogno di indossare vesti sontuose, è genuino. In un mondo come il nostro, in cui c’è una tale polarizzazione tra ricchi e poveri, questo uomo rappresenta qualcosa di importante, è il Papa della gente».



