Alla fine degli anni Settanta nessuno si sarebbe aspettato che, mezzo secolo dopo, un franchise distopico, e a tratti folle, ci avrebbe regalato un affresco così lucido della nostra epoca. Mad Max era figlio della paura dell’atomica, di due guerre mondiali e dello spettro di un’apocalisse sempre più vicino. Non è cambiato molto, oggi i conflitti si moltiplicano. E il cinema, da testimone privilegiato, lancia il suo monito. 
Furiosa: A Mad Max Saga di George Miller, presentato fuori concorso al Festival di Cannes, è il quinto capitolo dell’epopea che ha portato Mel Gibson al successo. Si tratta di uno spin-off: racconta la vita burrascosa di Furiosa, che in Mad Max: Fury Road aveva il volto di Charlize Theron. Scopriamo la sua infanzia perduta, la disperata ricerca di sé stessa, la cronaca di una famiglia distrutta e di un Eden violato. Da piccola viene rapita, la madre non riesce a salvarla, e inizia una lunga discesa agli inferi.
Il film si rivela uno spaccato moderno e traumatico dell’incapacità di comunicare e di comprendersi. Non è un caso che la protagonista pronunci poco più di trenta battute in tutto il film. Miller sottolinea la mancanza di dialogo, la violenza imperante che denota tutto ciò che ci circonda. Siamo in un futuro in cui la tecnologia è stata completamente distrutta dall’ambizione e dai sogni di grandezza. Ma quanto è lontano questo futuro? Quanta verità c’è in un deserto popolato da uomini sull’orlo del baratro, che cavalcano ronzini di ferro, lanciati a tutta velocità lungo strade inesistenti? Speriamo di non doverlo scoprire troppo presto.



Miller continua a dar vita a un franchise che non conosce crisi, che punta il dito conto una società che potrebbe implodere da un momento all’altro. Questa volta cambia il punto di vista. Mad Max ha uno sguardo femminile. Non c’è più Gibson nei panni del cavaliere errante, vestito con un giubbotto di pelle e armato fino ai denti, come era alle origini. Adesso l’eroina non conosce la pace, vuole costruire la sua libertà, affrancarsi da despoti ben poco illuminati. Mai Mad Max era stato così fluviale, ambizioso: due ore e mezza di un on the road serrato, selvaggio, in cui non esistono vincitori. In principio era un western post-apocalittico, oggi è tra i pochi che non hanno tradito le proprie radici. La corsa è forsennata, feroce, in un malinconico ritratto che richiama una gioventù perduta. Tra i titoli più attesi qui a Cannes, è l’emblema di una brutalità mai doma, di un domani sospeso tra sabbia e benzina, su cui dobbiamo iniziare a interrogarci.