Quando veniva ultimato un nuovo tratto dell’Autostrada del sole, Alessandro Cova lo inaugurava così: «Condividevo con un amico la passione per le auto sportive. Così ci sfidavamo a tutta velocità: tanto non c’era nessuno».

Cova, che oggi ha 84 anni, è il figlio dell’ingegnere Fedele Cova, l’uomo che, a capo della Società Autostrade, riuscì, in soli otto anni e in anticipo sui tempi, a congiungere Milano e Napoli attraverso 113 viadotti, 572 cavalcavia, 38 gallerie, 57 raccordi:
sono i 755 chilometri dell’Autostrada del sole, inaugurata cinquant’anni fa, il 4 ottobre 1964. Un’impresa titanica che rese lustro all’Italia nel mondo, tanto da essere considerata addirittura un’opera d’arte. I progetti e i plastici furono infatti esposti in una mostra al Moma di New York.

A questa grande epopea è dedicata la fiction La strada dritta, che Rai 1 ha mandato in onda il 20 e il 21 ottobre. Nei panni di Cova c’è Ennio Fantastichini, mentre Giorgio Marchesi interpreta Giovanni Nigro, una figura di fantasia ma ispirata, come ci spiega lui stesso, a quella di Silvano Zorzi, l’ingegnere che progettò alcuni tra i ponti più arditi dell’Autostrada del sole: «C’era negli uomini come lui la consapevolezza che ogni buona idea poteva essere realizzata e tutti si sentivano coinvolti. Nella fiction si vedono anche molte donne che lavorano accanto agli uomini. Era un’Italia che cambiava, in meglio».

Ma torniamo a Cova. «C’ero in quell’ottobre del 1956 quando fu posata la prima pietra dell’autostrada, a Melegnano. Facevo il cronista per La Stampa di Torino. Ci fecero vedere solo un abbozzo del progetto, perché ancora non si sapeva se c’erano i soldi per realizzarlo. Soldi che poi saltarono fuori grazie ad Amintore Fanfani, che aveva varato il suo piano per l’edilizia popolare e voleva completarlo con questo nastro d’asfalto che doveva congiungere l’Italia da Nord a Sud». Fu lo statista democristiano a scegliere Cova. «Mio padre era uno dei maggiori esperti italiani nel cemento, ma non aveva mai costruito una strada. Però aveva una volontà di ferro che non lo faceva fermare di fronte a nulla». La burocrazia, infatti, non tardò a farsi sentire: ci fu chi dubitò sull’utilità della doppia corsia e chi addirittura eccepì la mancanza nel progetto di marciapiedi.


LA CURVA AD AREZZO. «La verità», continua Cova, «è che nessuno sapeva cosa fosse un’autostrada. Mio padre passò loro e quando tornò litigò con tutti. Ma i lavori non si fermarono mai». La fiction si intitola La strada dritta ma, come tutti sanno, è senz’altro così solo fino a Bologna. Dopo, con gli Appennini, iniziano le salite, i ponti, e le curve. Una in particolare è diventata nota come “curva Fanfani”: si trova prima del casello di Arezzo e pare sia stata voluta dallo statista per aiutare la sua città. Cova conferma che non si tratta di una leggenda: «Il progetto originario prevedeva che il tracciato, dopo Firenze, puntasse dritto verso Perugia: si sarebbero così risparmiati un po’ di chilometri in direzione Roma. Ma Fanfani ci teneva tanto e mio padre, solo quella volta, non poté dire di no».

Per realizzare quest’opera, però, fu pagato un prezzo altissimo: furono decine i lavoratori che persero la vita nei cantieri.
Marchesi: «Ho visto molte immagini storiche, si lavorava in condizioni di sicurezza davvero ridicole se le paragoniamo a quelle di oggi. È un aspetto che trattiamo pure nella fiction». Cova: «La realizzazione del tratto appenninico fu il periodo più difficile per mio padre. Si lavorava su un terreno estremamente friabile e purtroppo ci furono parecchi incidenti. Noi della famiglia non lo vedevamo mai: girava come una trottola per i cantieri, angosciato dall’idea che potesse capitare qualcosa».

Alla fine, però, il 4 ottobre 1964, a Firenze il presidente del Consiglio Aldo Moro, in diretta televisiva, inaugurò l’Autostrada del sole con queste parole: «È stata questa costruzione un’ardita e geniale impresa, per il cui successo sono state impiegate con straordinario risultato le grandi risorse della scienza, della tecnica, del lavoro, della genialità creatrice del popolo italiano». Fedele Cova venne ricoperto di onorificenze: «Una volta si presentò in casa che sembrava un generale dell’armata sovietica, tanto era pieno di medaglie », sorride il figlio. «Ne ricevette persino dal Vaticano e dal re in esilio Umberto II. Ma la gloria durò poco. I burocrati che aveva a lungo combattuto trovarono il modo di fargliela pagare e lui preferì andare in pensione. Si è spento nel 1987».

L’A1 è invece ancora lì, simbolo di un’Italia da cui abbiamo da imparare.
Marchesi: «Dopo aver girato la fiction, quando la percorro mi fermo ammirato a fotografare i ponti. Dobbiamo ricuperare quell’orgoglio, quell’idea per cui le cose le fanno non i raccomandati, o i mediocri, ma i migliori. Solo così riusciremo ancora a stupire il mondo».