Il mondo dei giovani per lui non ha segreti. Non c’è “lucchetto” che gli resista. Prima perché lo era. Ora, a un passo dai 50, perché ne è diventato un profondo conoscitore. Per questo i ragazzi lo amano e i genitori lo leggono per capire meglio i figli. Federico Moccia per il momento non ha voglia di crescere. E così eccolo che si ripresenta con una nuova avventura in cui molti ragazzi si ritroveranno. Da pochi giorni, è in tutte le librerie Quell’attimo di felicità, che racconta la storia di due giovani tra sentimenti e tanta voglia di vivere.
I protagonisti sono Nicco e Ciccio. Il primo è ironico, spiritoso, ma nonostante tutte le sue doti la ragazza che amava l’ha lasciato proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno, dopo la morte del padre. La colpa, tuttavia, è sua: non è mai riuscito a dirle "ti amo". Per fortuna che ad aiutarlo c’è Ciccio, ex compagno di scuola ai tempi del liceo. Nelle pagine del libro, ancora una volta, i problemi della vita si intrecciano con le emozioni di due ragazzi che, come tutti, sono in attesa del futuro. Ma a loro sembra così lontano il momento in cui dovranno diventare adulti. Complice l’età e l’estate desiderano solo innamorarsi e lasciarsi andare a nuovi sentimenti, alla vita che li aspetta.
«Ho un disperato bisogno di un sogno. Perchè senza un sogno non si va da nessuna parte», si legge nel libro. Ma i nostri giovani possono ancora permettersi il lusso di sognare?
«Assolutamente. La voglia di arrivare e vincere nuove sfide ha, da sempre, caratterizzato la mente dei giovani. Abbiamo tanti esempi di ragazzi che, pur partendo dal niente, hanno saputo farsi strada nella vita. Anche Tre metri sopra il cielo è un sogno a lungo rincorso e alla fine premiato. La mia grande scommessa è stata, infatti, quella di scrivere un romanzo entro i 30 anni. La creatività, l’intelligenza sono qualità che appartengono al sognatore, soprattutto al sognatore italiano. La crisi ci ha fatto perdere un po’ di smalto ma siamo sempre i migliori».
-Da quando ha scritto, nel ’92, Tre metri sopra il cielo i ragazzi sono cambiati o i sentimenti non conoscono mode?
«Una storia del ’92 che viene promossa a “cult” negli anni Duemila fa capire che le prime grandi emozioni della vita sono sempre le stesse e sottolinea il fatto che, oggi più che mai, si senta il bisogno di sentirsi amati».
-C’è una formula esatta per parlare ai giovani, a parte abbreviare tutti i nomi?
«Anche gli adulti accorciano i nomi… Francesca diventa Fra; Valentina si trasforma in Vale e così via. Pensa che un giornalista che criticava i miei nomignoli si fa chiamare Pippo ma il suo vero nome è Giuseppe…Detto questo, il modo migliore per parlare ai ragazzi è non credersi adulti. Nel senso che molti adulti pensano di essere in grado di insegnare o di avere in tasca la soluzione a tutti i problemi. Questa è una presunzione del tutto errata che porta ad una mancanza di dialogo. Nelle pagine dei miei libri i giovani percepiscono che lo scopo non è quello di insegnare loro qualcosa ma di instaurare, invece, un dialogo».
-Il valore cui i ragazzi d’oggi danno più importanza?
«Il valore della giustizia intesa come ciò che è equo, nel senso più letterale del termine. Ecco perché si sono allontanati dalla politica o ne sono entrati a far parte in maniera completamente ribelle. Proprio per questa esigenza di lealtà».
-A parte una piccola virata nel 2011 con L’uomo che non voleva amare non si è mai allontanato dal genere che l’ha fatta conoscere nel mondo dopo Tre metri sopra il cielo. Paura di non bissare i successi precedenti?
«No, è tutto molto più semplice. Mentre facevo i provini del mio prossimo film ho ascoltato le storie di tanti universitari 20enni e così mi è venuta l’ispirazione. Mi sono ricordato anche di quel periodo della vita che segue l’esperienza del liceo. Una fase molto complicata perché, per la prima volta, ci si trova a dover gestire il proprio tempo».
-Ha da poco compiuto 50 anni. E’ arrivato il momento di crescere?
«Sono cresciuto improvvisamente quando nel 2006 ho perso mio padre. Quello per me ha rappresentato il momento in cui si viene strappati dal periodo, che si vorrebbe eterno, del tuo rimanere fanciullo. Mi sono sentito sbattuto in una realtà che ti fa necessariamente sentire grande perché sopra di te non c’è più nessuno cui fare riferimento. Anche l’arrivo di due figli, comunque, ha contribuito a farmi responsabilizzare totalmente».
-Ha due bimbi ancora piccoli. Come li immagina da adolescenti? Vorrebbe ricordassero qualche personaggio dei suoi libri?
«No, sarebbe come condizionarli o legarli a qualcosa che in un certo senso mi è appartenuto. Mi auguro che diventino come li vedo crescere. Curiosi e divertiti da tutto ciò che li circonda».
-A ottobre, intanto, uscirà il suo nuovo film “Universitari, molto più che amici”. Ancora una volta in mezzo ai giovani…
«Mi è piaciuta molto l’idea di raccontare le esperienze dei giovani che si trovano a dover dividere l’appartamento durante gli anni dell’Università. In molti casi, rappresentano una potenziale famiglia, quella che, a volte, i 20enni d’oggi confessano di non aver avuto e che rimpiangono».
I protagonisti sono Nicco e Ciccio. Il primo è ironico, spiritoso, ma nonostante tutte le sue doti la ragazza che amava l’ha lasciato proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno, dopo la morte del padre. La colpa, tuttavia, è sua: non è mai riuscito a dirle "ti amo". Per fortuna che ad aiutarlo c’è Ciccio, ex compagno di scuola ai tempi del liceo. Nelle pagine del libro, ancora una volta, i problemi della vita si intrecciano con le emozioni di due ragazzi che, come tutti, sono in attesa del futuro. Ma a loro sembra così lontano il momento in cui dovranno diventare adulti. Complice l’età e l’estate desiderano solo innamorarsi e lasciarsi andare a nuovi sentimenti, alla vita che li aspetta.
«Ho un disperato bisogno di un sogno. Perchè senza un sogno non si va da nessuna parte», si legge nel libro. Ma i nostri giovani possono ancora permettersi il lusso di sognare?
«Assolutamente. La voglia di arrivare e vincere nuove sfide ha, da sempre, caratterizzato la mente dei giovani. Abbiamo tanti esempi di ragazzi che, pur partendo dal niente, hanno saputo farsi strada nella vita. Anche Tre metri sopra il cielo è un sogno a lungo rincorso e alla fine premiato. La mia grande scommessa è stata, infatti, quella di scrivere un romanzo entro i 30 anni. La creatività, l’intelligenza sono qualità che appartengono al sognatore, soprattutto al sognatore italiano. La crisi ci ha fatto perdere un po’ di smalto ma siamo sempre i migliori».
-Da quando ha scritto, nel ’92, Tre metri sopra il cielo i ragazzi sono cambiati o i sentimenti non conoscono mode?
«Una storia del ’92 che viene promossa a “cult” negli anni Duemila fa capire che le prime grandi emozioni della vita sono sempre le stesse e sottolinea il fatto che, oggi più che mai, si senta il bisogno di sentirsi amati».
-C’è una formula esatta per parlare ai giovani, a parte abbreviare tutti i nomi?
«Anche gli adulti accorciano i nomi… Francesca diventa Fra; Valentina si trasforma in Vale e così via. Pensa che un giornalista che criticava i miei nomignoli si fa chiamare Pippo ma il suo vero nome è Giuseppe…Detto questo, il modo migliore per parlare ai ragazzi è non credersi adulti. Nel senso che molti adulti pensano di essere in grado di insegnare o di avere in tasca la soluzione a tutti i problemi. Questa è una presunzione del tutto errata che porta ad una mancanza di dialogo. Nelle pagine dei miei libri i giovani percepiscono che lo scopo non è quello di insegnare loro qualcosa ma di instaurare, invece, un dialogo».
-Il valore cui i ragazzi d’oggi danno più importanza?
«Il valore della giustizia intesa come ciò che è equo, nel senso più letterale del termine. Ecco perché si sono allontanati dalla politica o ne sono entrati a far parte in maniera completamente ribelle. Proprio per questa esigenza di lealtà».
-A parte una piccola virata nel 2011 con L’uomo che non voleva amare non si è mai allontanato dal genere che l’ha fatta conoscere nel mondo dopo Tre metri sopra il cielo. Paura di non bissare i successi precedenti?
«No, è tutto molto più semplice. Mentre facevo i provini del mio prossimo film ho ascoltato le storie di tanti universitari 20enni e così mi è venuta l’ispirazione. Mi sono ricordato anche di quel periodo della vita che segue l’esperienza del liceo. Una fase molto complicata perché, per la prima volta, ci si trova a dover gestire il proprio tempo».
-Ha da poco compiuto 50 anni. E’ arrivato il momento di crescere?
«Sono cresciuto improvvisamente quando nel 2006 ho perso mio padre. Quello per me ha rappresentato il momento in cui si viene strappati dal periodo, che si vorrebbe eterno, del tuo rimanere fanciullo. Mi sono sentito sbattuto in una realtà che ti fa necessariamente sentire grande perché sopra di te non c’è più nessuno cui fare riferimento. Anche l’arrivo di due figli, comunque, ha contribuito a farmi responsabilizzare totalmente».
-Ha due bimbi ancora piccoli. Come li immagina da adolescenti? Vorrebbe ricordassero qualche personaggio dei suoi libri?
«No, sarebbe come condizionarli o legarli a qualcosa che in un certo senso mi è appartenuto. Mi auguro che diventino come li vedo crescere. Curiosi e divertiti da tutto ciò che li circonda».
-A ottobre, intanto, uscirà il suo nuovo film “Universitari, molto più che amici”. Ancora una volta in mezzo ai giovani…
«Mi è piaciuta molto l’idea di raccontare le esperienze dei giovani che si trovano a dover dividere l’appartamento durante gli anni dell’Università. In molti casi, rappresentano una potenziale famiglia, quella che, a volte, i 20enni d’oggi confessano di non aver avuto e che rimpiangono».


