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Una persona schiva, che si sottrae alle domande personali, look da eterno ragazzino, una camicia di jeans aperta su una maglietta bianca, il cappellino calcato sui fitti ricci imbiancati. Incontriamo il cantautore Niccolò Fabi nella hall di un albergo milanese, reduce da un concerto tutto esaurito; una prestazione a cui è ormai abituato, dopo il successo del suo ultimo album, Una somma di piccole cose, nove canzoni intime, senza clamori, intessute di poesia, che inaspettatamente ha raggiunto la vetta delle classifiche. L’artista ha registrato le canzoni in totale solitudine nella sua casa a Campagnano, in un paesino di campagna a trenta chilometri da Roma, suonando tutti gli strumenti, chitarre, percussioni, il pianoforte... Anche la copertina è opera sua, una foto scattata con il cellulare dalla finestra del suo salotto: boschi a perdita d’occhio sotto un cielo azzurro cosparso di nuvole.
«È stato determinante mettersi in quella situazione di isolamento per tirare fuori emozioni e sensazioni che la città non mi avrebbe permesso di scoprire. Circondati dalla natura si ha voglia di guardarsi dentro, e la solitudine ti fa sentire meglio i tuoi movimenti interiori. Volevo che tutto fosse stimolato da questo tipo di atmosfera». E la contrapposizione tra città e campagna emerge anche nei testi di alcune canzoni come Ha perso la città, la descrizione di una metropoli, che può essere Roma, dove Fabi vive con la compagna, la pittrice e fotografa di origine iraniana Shirin Amini e il figlio Kim di 4 anni, oppure un’altra realtà urbana.
«Le grandi metropoli tendono ad assomigliarsi, hanno perduto il rapporto umano. In un paesino di campagna c’è un’iniziale diffidenza nei confronti di chi è vissuto come straniero, ma poi finisci per essere accolto, basta andare al bar per ritrovarti con tutti i paesani. Il bello di Roma è che bastano pochi minuti oltre il raccordo per entrare in un altro quadro. Io facevo avanti e indietro, e qualche volta mi fermavo anche a dormire».
Ci affascina molto l’idea delle piccole cose. Ne vediamo una manifestarsi davanti ai nostri occhi: il cantante mentre parla afferra una mela verde da un cesto e la addenta. «In realtà le piccole cose sono anche questi momenti speciali, ma le intendo soprattutto come i passi di avvicinamento a qualcosa che si desidera, una successione continua di gesti e scelte che ti portano alla vita come la vuoi oppure te ne allontanano. Può anche essere la capacità di non godere solo dell’intero ma delle singole parti. Non bisogna giudicare il successo o l’insuccesso solamente dal risultato finale».
Prima di questo disco Niccolò Fabi aveva fatto un’esperienza con Max Gazzè e Daniele Silvestri, un tour di grande successo nei palazzetti dello sport. Questo nuovo album è un’iniziativa completamente diversa, senza clamore ma che ha riscosso il favore del pubblico. «Per un certo tipo di persone è stata la conferma di un percorso puro, un modo di essere che non trovano altrove. Le mie canzoni hanno crudezza e nudità, portano a confrontarsi con i tanti nodi della vita, a provare compassione, vicinanza con le nostre storie difficili. L’arte ci consegna una serenità di fondo, ci fa accogliere queste fragilità. Il mio modo di cantare non è straziante ma è leggero, e porta a un’accettazione più che a una rassegnazione. Ci tengo a precisare che non sono né un prete né un filosofo, semplicemente un artista che mette solo la mano sul punto che fa male». Nella canzone Vince chi molla dice che «è meglio avere un bagaglio leggero». Chiediamo a Fabi di dettagliare questo concetto. «Invece che accumulare, con il trascorrere del tempo dovremmo imparare a lasciare andare, accettare la separazione visto che inevitabilmente ci avviciniamo al distacco definitivo. Nel concreto significa non pensare di essere onnipotenti, e di voler ottenere tutto dai rapporti interpersonali, dalle scelte professionali».
Pur nella sua estrema ritrosia riusciamo a strappargli una considerazione sulla paternità: «È un ruolo determinante nella vita, centrato sul senso di responsabilità. Per me è stato facile perché sono stato poco figlio, in quanto ho dovuto prendere responsabilità da adulto molto presto nella vita».
Un’ultima domanda tocca il tema dell’impegno umanitario. Fabi collabora da anni con Medici con l’Africa Cuamm, Ong di Padova coinvolta anche in questo disco. Ha compiuto con loro viaggi in Uganda, Angola, Sud Sudan aiutandoli a realizzare progetti in campo sanitario. «Sono viaggi che rigenerano, un modo di guardare le cose con altri occhi. A loro ho dedicato la canzone Sedici modi di dire verde e il brano con Gazzè e Silvestri Life is sweet. Spero che il nostro rapporto non si esaurirà mai».



