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Coincidenza: il Vangelo letto nelle Messe (di rito ambrosiano) della prima domenica di uscita del nuovo film dei bravi attori comici Ficarra e Picone Santocielo è il brano dell’Annunciazione.
Il testo sacro appare anche nel film, più volte, come stucchevole frasetta da mandare a memoria, ed è l’innesco di una commedia degli equivoci che passa troppo agilmente dalla farsa formalmente rispettosa a lavoro che intende nobilitarsi con giusti temi di impegno civile.
Non è blasfemo il film diretto da Francesco Amato, ben interpretato tra gli altri anche da Barbara Ronchi e MariaChiara Giannetta ma riscrive secondo il politicamente corretto ampie pagine di Vangelo, aggiornando quei tratti del Dio cristiano che a molti contemporanei appaiono antiquati, in contrasto con il modo comune di pensare.
Cosa è peggio?
Dio non è più l’Assoluto che si rivela all’uomo ma è tiranneggiato da volubili desideri umani. La nuova “madonna” è maschio, il novello messia che gli nasce è bimba, sopravvive non ad Erode ma ad un tentativo di aborto. E il resto è spoiler.
Il “peccato” del film è lo stesso di Babele: con la propria lunga torre (120 minuti, eccessivi) vuole impossessarsi del cielo ma purtroppo crolla, disperdendo macerie.
Anzitutto Dio: apparendo nelle scene iniziali e conclusive consente - con la sua approvazione finale dell’accaduto - di accogliere nel piano divino tutto quel che di improbabile il nuovo angelo Gabriele (Picone) e il “madonno per caso” (Ficarra) combinano sul poco raccomandabile pianeta terra.
Sottintendere inoltre che il primo Messia (a dire il vero l’unico) ha fallito perché condannato alla morte di croce è affermazione superficialmente falsa.
È possibile l’analisi teologica di una commedia natalizia destinata al vasto pubblico?
Si, se Dio è il tema che regge il film.
Nessuna richiesta di censura o limitazione della libertà di espressione (valga anche per chi scrive): la questione è narratologica.
Se “la sospensione dell’incredulità” è legge per lo spettatore, non possiamo invocarla quando senza competenza si smonta e rimonta (anche se maldestramente e non per offendere) ciò che narrativamente può rientrare nella categoria del mito.
Il cinema può ridere anche di Dio e delle cose sante: è necessario però non sconvolgere i fondamenti che caratterizzano la divinità e l’esperienza religiosa.
Il cinema lo può fare, Santocielo difatti è in sala e offerto al giudizio del pubblico: ma non regge l’autoassolutoria definizione di “commedia rispettosa”.
Su quel Dio, sull’unico Messia, sul brano lucano dell’Annunciazione, sulla Madonna, sulla Natività, sulla preghiera (nel film è ridotta a terapia) persone e comunità hanno fondato l’esistenza.
Perché questa riscrittura così banale dei fondamenti della fede solo per giungere stancamente ad affermare l’accoglienza, il rispetto, la fine del pregiudizio?
Tutto questo lo ha già annunciato e vissuto Gesù, il Messia: che stava con i poveri, invitava all’accoglienza senza pregiudizi, valorizzava le donne (socialmente ancor più svantaggiate di quanto lo sono purtroppo ancora oggi), non condannava le prostituite, combatteva l’immagine falsa di Dio che troppi uomini religiosi predicavano.



