Arriva una buona notizia per i ricercatori e per l’educazione alla memoria della Shoah nelle scuole. Grazie a un accordo con l’Istituto Centrale per i beni sonori ed audiovisivi, da venerdì 7 giugno è possibile consultare anche in Italia l’intero patrimonio di interviste audiovisive della USC Shoah Foundation di Los Angeles. 52.000 video-testimonianze in 32 lingue provenienti da 56 paesi, indicizzate e ricercabili minuto per minuto attraverso 60.000 parole chiave. Fondata dal regista Steven Spielberg nel 1994, la Shoah Foundation mira a conservare nel tempo e a rendere fruibili a tutti le voci dei testimoni, anche quando, sempre più per ragioni anagrafiche, non sono più in vita. Si tratta di uno dei più grandi archivi video-digitali di tutto il mondo, con testimonianze di sopravvissuti ebrei, omosessuali, testimoni di Geova, rom e sinti, sopravvissuti alle politiche per il “miglioramento della razza”, liberatori e testimoni della liberazione, prigionieri politici, soccorritori e partecipanti ai processi per i crimini di guerra.
Finora, in Italia era possibile ascoltare solo le interviste italiane, contenute nel progetto “Ti racconto la storia: voci dalla Shoah” (http://www.shoah.acs.beniculturali.it/). Adesso, a Palazzo Caetani di Roma, l’archivio diventa disponibile integralmente, proprio in un momento in cui l’antisemitismo pone nuove sfide. Accanto ai gesti antisemiti “classici”, come le recentissime scritte e svastiche alla sinagoga di Verona o a una scuola elementare a Settimo Milanese, la diffusione dei social network ha portato a un’amplificazione del fenomeno e delle tesi negazioniste. Secondo una ricerca dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche (Iard), il 22% dei giovani tra i 18 e i 29 anni manifesta ostilità nei confronti degli ebrei, con dati superiori alla media per quanto riguarda i maschi, i residenti al Nord, i giovani con un livello di istruzione inferiore. Quale prospettiva educativa è necessario assumere di fronte a questi dati? La possibilità offerta dall’archivio della Shoah Foundation va esattamente in questa direzione. Spiega Kim Simon, managing director della Fondazione: «Va sviluppato tutto ciò che riguarda l’aspetto esistenziale, il confronto con individui e storie, la personalizzazione, le testimonianze, sviluppando negli studenti l’empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri. Così si raggiunge un primo livello di partecipazione, che, attraverso contestualizzazione e processo critico, deve allargarsi fino alla Storia».
La partecipazione e l’empatia verso chi è vittima di razzismo e antisemitismo vanno sviluppate in un agire concreto, che non permette l’indifferenza: «I nostri interventi formativi – continua Kim Simon – mirano alla costruzione di un senso di responsabilità personale, che spinge all’azione nel futuro”. USC Shoah Foundation ha da poco aggiunto una collezione preliminare di 65 testimonianze di soccorritori e sopravvissuti al genocidio del 1994 in Ruanda. Grazie a una precisa indicizzazione, questo permette di mostrare ai ragazzi e a chi ascolta le testimonianze come i meccanismi alla base dei genocidi e dell’elezione di un “gruppo bersaglio” abbiano dei punti in comune. Il processo per cui si nega a un’altra persona lo statuto di umanità non è immediato. Richiede una serie di scelte, condizioni adatte, consenso intorno, il silenzio della coscienza morale. E questa è una delle “chiavi” per spiegare cosa successe nei lager nazisti. Con una “preoccupazione educativa” e uno sguardo attento sul presente, pensando a come Marcella Ravenna, docente di Psicologia sociale all’Università di Ferrara, ha descritto l’accettazione della Shoah da parte dei contemporanei: «Le persone escluse sono percepite come psicologicamente distanti, la comunità non riconosce obblighi morali nei loro confronti, li vede semplicemente come utilizzabili o indegni, ne denigra i diritti, la dignità e l’autonomia, e tollera o approva azioni e conseguenze che non sarebbero in nessun modo accettabili nel caso di quanti si collocano all’interno della comunità».
Finora, in Italia era possibile ascoltare solo le interviste italiane, contenute nel progetto “Ti racconto la storia: voci dalla Shoah” (http://www.shoah.acs.beniculturali.it/). Adesso, a Palazzo Caetani di Roma, l’archivio diventa disponibile integralmente, proprio in un momento in cui l’antisemitismo pone nuove sfide. Accanto ai gesti antisemiti “classici”, come le recentissime scritte e svastiche alla sinagoga di Verona o a una scuola elementare a Settimo Milanese, la diffusione dei social network ha portato a un’amplificazione del fenomeno e delle tesi negazioniste. Secondo una ricerca dell'Istituto ricerche politiche e socioeconomiche (Iard), il 22% dei giovani tra i 18 e i 29 anni manifesta ostilità nei confronti degli ebrei, con dati superiori alla media per quanto riguarda i maschi, i residenti al Nord, i giovani con un livello di istruzione inferiore. Quale prospettiva educativa è necessario assumere di fronte a questi dati? La possibilità offerta dall’archivio della Shoah Foundation va esattamente in questa direzione. Spiega Kim Simon, managing director della Fondazione: «Va sviluppato tutto ciò che riguarda l’aspetto esistenziale, il confronto con individui e storie, la personalizzazione, le testimonianze, sviluppando negli studenti l’empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri. Così si raggiunge un primo livello di partecipazione, che, attraverso contestualizzazione e processo critico, deve allargarsi fino alla Storia».
La partecipazione e l’empatia verso chi è vittima di razzismo e antisemitismo vanno sviluppate in un agire concreto, che non permette l’indifferenza: «I nostri interventi formativi – continua Kim Simon – mirano alla costruzione di un senso di responsabilità personale, che spinge all’azione nel futuro”. USC Shoah Foundation ha da poco aggiunto una collezione preliminare di 65 testimonianze di soccorritori e sopravvissuti al genocidio del 1994 in Ruanda. Grazie a una precisa indicizzazione, questo permette di mostrare ai ragazzi e a chi ascolta le testimonianze come i meccanismi alla base dei genocidi e dell’elezione di un “gruppo bersaglio” abbiano dei punti in comune. Il processo per cui si nega a un’altra persona lo statuto di umanità non è immediato. Richiede una serie di scelte, condizioni adatte, consenso intorno, il silenzio della coscienza morale. E questa è una delle “chiavi” per spiegare cosa successe nei lager nazisti. Con una “preoccupazione educativa” e uno sguardo attento sul presente, pensando a come Marcella Ravenna, docente di Psicologia sociale all’Università di Ferrara, ha descritto l’accettazione della Shoah da parte dei contemporanei: «Le persone escluse sono percepite come psicologicamente distanti, la comunità non riconosce obblighi morali nei loro confronti, li vede semplicemente come utilizzabili o indegni, ne denigra i diritti, la dignità e l’autonomia, e tollera o approva azioni e conseguenze che non sarebbero in nessun modo accettabili nel caso di quanti si collocano all’interno della comunità».


