Dopo il successo di “Canta ancora”, Arisa torna con “Nuvole”, un inno crudo e potente alla rinascita. Scritta interamente dall’artista, la canzone è un gesto d'amore per tutte le donne che, in una relazione, hanno smarrito sé stesse. Tuttavia, al di là della sua potente narrativa femminile, "Nuvole" offre uno spessore inaspettato: può essere letta come una parabola moderna sull’amore autentico, un amore che, per usare un linguaggio teologico, redime e libera.

Il brano, diviso in tre atti come un dramma sacro, descrive la progressiva discesa agli inferi di un amore malato, un "amore che ammala". Non un sentimento nobile, ma una patologia dell'anima. Le Nuvole del titolo, simili a bolle di sapone, rappresentano la labilità e l'inganno di un legame che non ha più la consistenza della promessa, ma la fragilità di un'apparenza destinata a svanire.

L'Amore tossico: la parodia dell'Alleanza

La prima parte del testo è un doloroso inventario della deriva della relazione: "Labbra che non si baciano ma inveiscono / mani che non accarezzano ma colpiscono". È il ritratto di un'alleanza tradita, dove il dono di sé viene rimpiazzato dalla prevaricazione. La protagonista si rimpicciolisce, la sua anima è "già strappata". In questa dinamica, l'amore viene snaturato in un idolo che chiede sacrifici ma non dona vita. È la contraffazione di quell'amore sponsale che, nella visione cristiana, è immagine dell'Alleanza tra Dio e il suo popolo: un legame di fedeltà e fecondità che qui diventa sterilità e violenza.

La Kenosi e la presa di coscienza: dall'annichilimento alla resurrezione

Il cuore della canzone risiede nella sua seconda parte, dove assistiamo a una forma distorta di kenosi (dal greco, "svuotamento"). La donna si annulla per l'altro: "farò finta di niente / come sempre". È un dono di sé, sì, ma malato, avvelenato dalla paura. La relazione diventa una prigione di controllo reciproco: "Se mi guardi io mi perdo / se ti guardo io ti controllo". Questo è l'opposto della libertà che scaturisce dall'amore vero.

La svolta, il terzo atto, è la presa di coscienza teologica più profonda del brano: ciò che ci fa male non è mai amore. È il momento in cui la donna smaschera l'idolo. Il luogo di questa rivelazione è il vuoto, splendidamente rappresentato dal videoclip girato a Craco, il borgo abbandonato. Come gli abitanti di Craco che lasciano una casa non più sicura, lei abbandona la relazione. È nel deserto, nel "vuoto", che ritrova la voce per dire "non me ne frega niente", non della relazione tossica, ma del suo stesso annullamento.

Il pane della libertà: una nuova Eucaristica

Il verso conclusivo è di una potenza sacra senza pari: "Io ci impasterò il pane per la libertà". Qui, la teologia dell'amore irrompe in tutta la sua forza. Il pane, simbolo eucaristico per eccellenza del dono di Cristo che nutre e salva, viene impastato con le lacrime del dolore. Non è un pane che si riceve passivamente, ma che la donna, ormai redenta, impasta attivamente con la sua esperienza straziata.

In questo gesto, Arisa capovolge la logica del sacrificio: non si offre più all'altro in modo distruttivo, ma trasforma la sua sofferenza in un cibo nuovo: la libertà. Ritrova sé stessa ("io ero un angelo / e adesso non so più chi sono") proprio nel dono di sé più autentico: il dono della propria storia, della propria rinascita, offerta a sé stessa e, simbolicamente, a tutte le donne.

"Nuvole" non è solo una canzone sulla fine di un amore. È un inno sulla fine di un falso amore, per far spazio a un amore vero. Ci ricorda che l'amore autentico, quello che sa di divino, non imprigiona mai, non umilia mai, non possiede mai. Al contrario, libera, dignifica e, come il pane impastato con le lacrime e cotto nel fuoco della prova, nutre un'esistenza nuova e finalmente pienamente umana. In "Nuvole", Arisa non canta solo la liberazione di una donna, ma la possibilità per tutti di vivere un amore che sia, davvero, un'esperienza di salvezza.