Fresco vincitore al Festival di Roma del premio assegnato dal pubblico alla migliore pellicola di tutte le varie sezioni, arriva nelle sale italiane Trash, splendido film che segna il ritorno dietro la cinepresa del pluripremiato Stephen Daldry. Il cineasta britannico (53 anni, vero astro del teatro londinese per le ottime regie e la produzione di un centinaio di nuovi spettacoli) aveva già dimostrato, nel 2000, di saperci fare col mondo dell’infanzia firmando Billy Elliot, film-fenomeno che ha mietuto incassi in tutto il mondo raccontando le peripezie di un ragazzino folgorato dalla danza classica malgrado il duro ambiente operaio della sua famiglia. Un miracolo di sensibilità e divertimento.

Protagonisti di Trash (letteralmente, spazzatura) sono ancora tre adolescenti le cui disavventure si svolgono dall’altra parte del globo, in un mondo ancor più miserevole di quello pur povero del proletariato urbano delle nostre città. Rafael, Gardo e Rato sono ragazzini di strada. Amici per la pelle che sbarcano il lunario frugando tra le montagne di rifiuti della gigantesca discarica contigua alla favela dove vivono, ai margini della babelica Rio de Janeiro. Una mattina raccattano un portafoglio abbandonato, ma quello che pare essere un colpo di fortuna si rivelerà per loro l’inizio di una drammatica odissea. Il guaio è che contiene la chiave con le prove di qualcosa di molto più grande di loro. Lo ha affidato ai rifiuti l’assistente del boss Santos prima di essere catturato, torturato e ucciso dalla polizia. Santos, aspirante sindaco e grande corruttore, scatena i suoi sgherri alla ricerca di quella scottante documentazione sulla trama delinquenziale che coinvolge criminali, politici e poliziotti venduti. E quella non è gente che si faccia scrupoli a sparare se davanti alla pistola c’è un ragazzino. Men che meno se ne fanno gli agenti che celano dietro la divisa i loro sadici istinti.

Il film, dal ritmo incalzante come The Millionaire dell’altro inglese Danny Boyle (che era però ambientato tra gli slums di Mumbai, in India), si sviluppa come un vero action-movie. Una gigantesca caccia all’uomo, anzi al bambino, da cui i tre malcapitati verranno fuori grazie all’aiuto di un vecchio ex detenuto politico e di un maturo missionario, ormai sull’orlo dello sconforto umano, stanco malgrado la fede (interpretato dalla star Martin Sheen).

Un thriller dai toni dickensiani che magari non dà lustro al nuovo Brasile, ma che lancia un messaggio di speranza. “Trash è una favola di adolescenti, il mio primo film d’avventura”, spiega Daldry, regista anche di titoli di qualità come The Hours con Nicole Kidman e The reader con Kate Winslet. “Ed ha rappresentato una straordinaria avventura umana anche per me. Ho vissuto per due anni in Brasile conoscendo persone straordinarie. A cominciare dai tre giovani protagonisti, scelti dopo una lunga selezione. 
Rickson Tevez, Eduardo Luis e Gabriel Weinstein non solo sono pieni di ottimismo ed energia ma hanno anche determinazione, fede, senso di giustizia: sanno bene che futuro vogliono per il loro Paese. Una cosa che colpisce molto chi, come me, viene da una paese cinico e depresso come l’Inghilterra”. “Senza questo film non saremmo mai venuti in Italia e non avremmo mai visto il Colosseo”, gli hanno fatto eco, emozionati, i tre ragazzi brasiliani nella conferenza stampa del Festival di Roma.

“Non avremmo mai creduto che una cosa del genere potesse accaderci. Fare cinema, tutto sommato, è una cosa stramba. I nostri amici, quando glielo abbiamo detto, pensavano che fosse tutto uno scherzo”. Adesso, però, la loro vita di strada cambierà.
Da grandi, forse, faranno gli attori. “Non sappiamo quale sarà il nostro futuro”, ammette Rickson, il più riflessivo dei tre. “Ricordo però che mia sorella avrebbe potuto essere una nuotatrice olimpionica. I miei invece, per proteggerla dalle delusioni, la fecero rinunciare. E ancor oggi lei lo rimpiange. Non ha senso, perciò, porsi dei limiti. Qualcosa di buono succederà”.