Quali registi ancora oggi in attività possono dire di aver dedicato la loro carriera a raccontare l’indigenza e la miseria? Non molti. Ken Loach in Inghilterra ha detto che The Old Oak nel 2022 è stato il suo ultimo film. Sembra che a ottantotto anni abbia deciso di ritirarsi. In Francia c’è Robert Guédiguian, che, con toni a volte anche dichiaratamente politici, si è soffermato su chi è in difficoltà. In Belgio spiccano invece Jean-Pierre e Luc Dardenne. Ospiti abituali del Festival di Cannes (hanno vinto la Palma d’Oro con Rosetta nel 1999 e con L'Enfant - Una storia d'amore nel 2005), anche quest’anno sono in concorso con Jeunes Mères

È un film corale. Descrive la vita di un gruppo di giovani che si devono confrontare con la maternità. Hanno una situazione economica complicata e spesso non sono aiutate dai padri dei loro figli, anzi sono abbandonate. Le vediamo ridere, arrabbiarsi, commuoversi: viene messa in scena la quotidianità. 

La forza del cinema dei Dardenne è che pone l’accento sull’essere umano. Al centro ci sono i sentimenti, la sofferenza, la ricerca di un futuro migliore in cui a volte è difficile credere. È proprio così che i due cineasti alimentano la loro spiritualità. Senza magari parlare direttamente di religione, suggeriscono comunque di avere fede. Con la macchina da presa delineano una speranza che travalica le culture, invita all’incontro e soprattutto si rivela al fianco di chi è in ginocchio. 

Non è forse questa la base della carità cristiana? Il cinema per i fratelli Dardenne è uno strumento di protezione, è un’arte che svolge una funzione sociale. E non è poco. Non bisogna fidarsi di chi sostiene che i Dardenne girano sempre lo stesso film, perché questa è spesso la caratteristica dei veri artisti. Jeunes Mères è un nuovo tassello, un piccolo affresco che invoca la pietà e l’armonia, realizzato sempre con il rigore che li contraddistingue. È come una carezza in questi tempi tumultuosi, sulla scia di Tori e Lokita. 

Moralità ed etica si mescolano all’estetica, all’uso delle immagini. Si empatizza con le paure delle protagoniste. La genitorialità è descritta come una gioia burrascosa, come l’esperienza definitiva per scoprirsi adulti. Un film sul dare, non sull’avere. Un film pieno di cuore, con un’anima potente, che trasforma i silenzi in un luogo di riflessione. Impeccabile.