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La città di Milano e l’adolescenza, con le loro difficoltà e problemi, non sono un ostacolo alla fede ma addirittura possono diventare il luogo adatto «per diventare santi». E la malattia e la morte, passaggi oscuri e drammatici per tutti gli uomini, anche per chi crede, possono riconnetterci al «Dio della vita e della gioia».
È questo, in sintesi, l’identikit del rapporto tra San Carlo Acutis e la città dove è cresciuto tracciato dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, nell’omelia della Messa di ringraziamento per la canonizzazione del 7 settembre scorso che ha presieduto lunedì sera in Duomo, il giorno dopo la festa liturgica del nuovo Santo.
A concelebrare c’era anche il vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, città nel cui Santuario della Spogliazione riposano le spoglie del giovane Santo, meta incessante di migliaia di pellegrini. Sul lato dell'altare, il quadro di Carlo Acutis e una sua reliquia, portata in processione da Sorrentino e davanti alla quale i due vescovi hanno acceso una candela all'inizio della Messa. In prima fila la madre Antonia Salzano e le delegazioni delle scuole frequentate da Carlo, le Marcelline e l’Istituto Leone XIII dei Gesuiti.
Ad animare la celebrazione i cori della Comunità pastorale di Cologno Monzese, intitolata proprio a san Carlo Acutis, di Calò e il Coro Ensemble Vox Cordis diretti da Roberto Bacchini che ha composto l’inno per Acutis mentre la prima lettura è stata “sostituita” dalla lettura della vita del Santo come prevede il Rito Ambrosiano. La città, ha detto l’arcivescovo Delpini, «è difficile, la città è problematica, la città attrae con le sue promesse e respinge con la sua durezza, la città è ingiusta, la città è pericolosa, la città ha perso la sua anima, la città è un groviglio di complicazioni, la città è assediata dalla malavita, la città contiene tutti i problemi del mondo. In questa città», ha proseguito, «ha vissuto un ragazzo che da quando ha fatto la prima comunione fino a quindici anni ha pregato tutti i giorni il rosario, ha partecipato alla messa tutti i giorni, ha sostato in chiesa per pregare da solo tutti i giorni. Nella città difficile», ha rimarcato l’arcivescovo, «il Signore continua ad attirare a sé, continua ad aprire autostrade per il cielo, continua a seminare compassione per darsi da fare per i poveri. Si possono dire molte cose della città. Si deve però anche dire che la città è un luogo in cui si può diventare santi».
Delpini si è soffermato sull’adolescenza, l’età di Carlo, morto a 15 anni nel 2006 a causa di una leucemia fulminante, e che con la sua santità di vita ha attratto e continua ad attrarre milioni di ragazzi e giovani da ogni parte del mondo come dimostrano i tanti pellegrini arrivati a Roma per la canonizzazione: «L’adolescenza è una età difficile», ha ammesso l’arcivescovo, «le mamme e i papà quando devono parlare delle difficoltà che incontrano con i figli dicono, come una specie di giustificazione: “è un adolescente!”. Di ragazzi e ragazze adolescenti si dice che sono fragili, che hanno dentro una rabbia che li rende aggressivi, che usano i social per esprimere odio e volgarità, che soffrono di disturbi alimentari e che hanno bisogno di terapie e accompagnamenti di specialisti, che sono intrattabili, che si rifugiano in pericolose solitudini e in pericolose compagnie».
Qualche anno fa in questa città, ha continuato Delpini, «un ragazzo ha vissuto la sua adolescenza come un tempo per impegnare le sue capacità, le sue risorse, il suo tempo per una voglia di fare il bene, per un gusto per i pensieri alti, per un interesse per il mistero che lo segnato fino alla morte. Dell’adolescenza si possono dire molte cose. Si deve però anche dire che l’adolescenza è un tempo adatto per diventare santi».
Infine, monsignor Delpini si è soffermato sulla malattia che ha colpito Acutis: «Essa è una dura prova, la malattia riempie l’animo di angoscia, la malattia spinge a chiudersi in sé stessi, a non pensare ad altro, a non parlare d’altro, a non guardare altro che la propria condizione di malato», ha detto, «la malattia è una ingiustizia. La malattia è una dura prova: il malato è tentato di dubitare di Dio, di arrabbiarsi con Dio, di bestemmiare Dio come un enigma ostile, che si accanisce, non si sa perché proprio contro di me».
Ma anche nella malattia Carlo Acutis ha saputo testimoniare la sua fede: «Nel rendersi conto della gravità della sua malattia egli ha rinnovato la sua fede, ha pensato che la sua vita poteva fare del bene nella salute e nella malattia e ha offerto il suo soffrire e morire per il Papa e per la Chiesa», ha detto Delpini, «della malattia e della morte si possono dire tante cose. Si deve però anche dire che è il passaggio doloroso e misterioso per una comunione più profonda e decisiva con il Signore Dio della vita e della gioia».



