Liturgia del giorno:
1Cor 1,17-25; Sal 32 (33); Mt 25,1-13
Questo grande dottore della Chiesa nacque a Tagaste, (oggi in Algeria) nel 354. Ricevette la prima formazione culturale a Medaura, poi studiò a Cartagine, dove aderì al manicheismo, dottrina secondo cui il mondo è dominato da due divinità, il Bene e il Male, in perenne lotta fra loro. Dopo avere aperto una scuola a Tagaste, passò a Roma. Da lì, superata una grave malattia, salì a Milano – dove lo raggiunse la madre - per occupare una cattedra di retorica, nel 384. Qui conobbe Ambrogio, le cui spiegazioni della Scrittura lo conquistarono. A 32 anni, durante un momento di riflessione, gli parve di sentire come una cantilena che diceva: «Prendi e leggi»; aprì il libro delle lettere paoline alle parole «Comportatevi onestamente… non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze… Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rom. 13, 13). Colpito dalla grazia, dopo aver raccontato alla madre l’accaduto, si convertì dando l’addio alla sua vita disordinata e nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 387 fu battezzato da Ambrogio. Dopo un periodo trascorso a Cassiciacum (a nord di Milano) compose alcune opere apologetiche contro i manichei e, morta sua madre a Ostia, tornò in Africa col figlio Adeodato, dopo averne rinviato la mamma per consiglio di Monica. Ordinato sacerdote a Ippona nel 391, quattro anni dopo fu nominato vescovo di quella città. Nella basilica della Pace per 35 anni commentò le Scritture, amministrò la giustizia, curò i beni ecclesiastici e confutò eretici, manichei, donatisti e pelagiani. Con un regime regolato di vita comune, condiviso con alcuni del suo clero, scrisse le sue opere più note, come le Confessioni, Dottrina Cristiana, La città di Dio e La Trinità. Morì il 28 agosto del 430, mentre la città era assediata dai Vandali. Il suo corpo fu traslato in Sardegna, poi Liutprando lo portò a Pavia, dove è venerato nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro.