Liturgia del giorno:
Qo 1, 2-11; Sal 89; Lc 9, 7-9.
Cosma e Damiano erano fratelli, nati in Arabia nella seconda metà del III secolo, da genitori cristiani. Giovanissimi si recarono in Siria dove studiarono medicina ed esercitarono la professione prima a Egea poi a Ciro, una città dell’Asia Minore dove sarebbe stato vescovo, dal 440 al 458, Teodoreto che sarebbe stato anche il loro primo biografo. Era in atto la persecuzione di Diocleziano: per chi professava la fede c’erano la proibizione ad accedere a cariche pubbliche, la confisca dei beni, la prigionia e spesso la morte. Cosma e Damiano ne erano consapevoli, ma da veri cristiani accorrevano dovunque ci fossero dei malati, curandone non soltanto i mali del corpo, ma cercando di spingerli alla conversione. Per la loro generosità erano chiamati “anargiri”, cioè privi di argento, perché rifiutavano qualsiasi forma di retribuzione. La loro attività non passava inosservata e un giorno il governatore della Cilicia, Lisia, li fece arrestare ordinando loro di rinnegare ala propria fede e di rendere il culto all’imperatore, pena la morte. Ma essi, da veri “atleti di Dio” come li chiama Teodoreto, rifiutarono e per questo furono sottoposti ad ogni genere di tormenti che però, secondo la leggenda, non li toccarono minimamente, neppure quando essi furono gettati in una fornace, dalla quale uscirono incolumi mentre le fiamme investirono i carnefici. Il governatore, infuriato, ordinò infine che fossero decapitati. I loro corpi furono sepolti a Ciro da cui furono poi traslati a Roma nel 528 ad opera di papa Felice IV. Nel VI secolo l’imperatore Giustiniano fu guarito da una grave malattia per intercessione dei due martiri, ai quali furono poi dedicate numerose chiese a Costantinopoli, in Cappadocia, a Gerusalemme oltre quelle già esistenti a Roma. Il loro culto, sviluppatosi in Oriente dopo la loro morte, passò in Europa e si mantenne vivo fino a tutto il Rinascimento, dando luogo a un’iconografia tra le più ricche dell’Occidente.