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«Il corso della storia non è già scritto dai potenti di questo mondo. Mettiamo pensieri ed energie a servizio di un Dio che viene a regnare non per dominarci, ma per liberarci». Papa Leone, all’Angelus, invita a guardare «le luminarie lungo le strade» che ci ricordano «che ognuno di noi può essere una piccola luce se accoglie Gesù» e che il Vangelo «è davvero una buona notizia che ci motiva e ci coinvolge».
Sottolinea i 60 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II e i sessanta anche dalla «dichiarazione comune tra Paolo VI e il patriarca Atenagora che poneva fine alle reciproche scomuniche». Incoraggia nell’impegno verso l’unità anche ricordando il suo primo viaggio apostolico che ha toccato Turchia e Libano. A Nicea sono stati celebrati, con una cerimonia ecumenica i 1.700 anni dal primo Concilio e, sottolinea Leone, lì ha «avuto la gioia di incontrare la comunità cattolica». In Turchia c’è una comunità piccola, ma che testimonia «il Vangelo dell'amore e la logica di Dio che si manifesta nella piccolezza». E poi il Libano che «è un mosaico di convivenza». Ricorda l’incontro al porto, nel luogo dell’esplosione del 2020 dove ha incontrato alcuni sopravvissuti e i parenti delle vittime di quel terribile evento che ha causato la morte di oltre 300 persone e il ferimento di oltre settemila. «Mi ha commosso l'incontro con i parenti delle vittime dell'esplosione nel porto di Beirut», sottolinea. Ma dice anche: «I libanesi attendevano una parola e una presenza di consolazione. Ma sono io che stato confortato dalla loro fede e dal loro entusiasmo». E ancora: «Quanto è avvenuto nei giorni scorsi in Turchia e Libano ci insegna che la pace è possibile e che i cristiani in dialogo con gli uomini e le donne di altre fedi e culture, possono contribuire a costruirla. Non lo dimentichiamo. La pace è possibile».
Prima aveva spiegato il Vangelo della domenica, con la scena del Battista che chiede la conversione «perché il regno dei cieli è vicino!».
«Nella preghiera del “Padre nostro”, noi chiediamo ogni giorno: “Venga il tuo regno”», dice Leone. «Gesù stesso ce l’ha insegnato. E con questa invocazione ci orientiamo al Nuovo che Dio ha in serbo per noi, riconosciamo che il corso della storia non è già scritto dai potenti di questo mondo».
Il tono «del Battista è severo, ma il popolo lo ascolta perché nelle sue parole sente risuonare l’appello di Dio a non scherzare con la vita, ad approfittare del momento presente per prepararsi all’incontro con Colui che giudica in base alle opere e alle intenzioni del cuore, e non secondo le apparenze. Lo stesso Giovanni sarà sorpreso dal modo in cui il Regno di Dio si manifesterà in Gesù Cristo, nella mitezza e nella misericordia. Il profeta Isaia lo paragona a un germoglio: un’immagine non di potenza o di distruzione, ma di nascita e di novità. Sul germoglio che spunta da un tronco apparentemente morto, inizia a soffiare lo Spirito Santo con i suoi doni. Ognuno di noi può pensare a una sorpresa simile che gli è capitata nella vita. È l’esperienza che la Chiesa ha vissuto con il Concilio Vaticano II, che si concludeva proprio sessant’anni fa: un’esperienza che si rinnova quando camminiamo insieme verso il Regno di Dio, tutti protesi ad accoglierlo e a servirlo. Allora non soltanto germogliano realtà che parevano deboli o marginali, ma si realizza ciò che umanamente si sarebbe detto impossibile». Sarà allora che «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà». Il mondo, dice Leone «ha bisogno il mondo di questa speranza! Nulla è impossibile a Dio. Prepariamoci al suo Regno, facciamogli spazio. Il “più piccolo”, Gesù di Nazaret, ci guiderà! Lui che si è messo nelle nostre mani, dalla notte della sua nascita all’ora oscura della morte in croce, risplende sulla nostra storia come Sole che sorge. Un giorno nuovo è iniziato: svegliamoci e camminiamo nella sua luce! Ecco la spiritualità dell’Avvento, tanto luminosa e concreta».





