Mt 21,28-32 - Feria propria del 16 dicembre

Un uomo ha due figli a cui domanda qualcosa: uno dice «Non ne ho voglia», ma poi si pente e la fa; l’altro dice «Sì, signore», ma non muove un passo. È una delle pagine più semplici e allo stesso tempo più disarmanti del Vangelo, una parabola che ci mette davanti a una verità che spesso preferiremmo evitare: davanti a Dio, non conta ciò che diciamo, ma ciò che scegliamo.

Gesù non condanna il figlio che inizialmente rifiuta. In fondo è onesto, non nasconde la sua fatica, non recita una parte. Ma qualcosa dentro di lui ad un certo punto cambia, forse perché sente che il bene non sempre nasce dall’entusiasmo, ma dalla fedeltà a ciò che vale. E allora si alza e va. Il bene spesso comincia proprio così: un passo dopo l’altro, anche senza emozioni, anche senza voglia. L’altro figlio invece appare perfetto: risponde nel modo giusto, dice ciò che ci si aspetta da lui. Ma il suo sì è vuoto, è una forma di ipocrisia. È il rischio di una fede di parole, una fede che funziona finché non chiede niente, finché rimane un’idea e non diventa carne.

Gesù è diretto: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno. Non perché siano migliori, ma perché non hanno paura di riconoscere la propria verità. Loro, a differenza dei capi del popolo, non hanno nulla da difendere: quando incontrano la luce, la seguono. Quando ascoltano Giovanni, si convertono davvero. Non si accontentano di un'apparenza religiosa. Chi parte male delle volte può arrivare bene se si lascia toccare da Dio. E chi parte bene può delle volte smarrirsi, se vive solo di immagine.

Dio non cerca figli impeccabili, cerca figli che si lascino raggiungere. E il suo Regno non è per i migliori, ma per chi ha il coraggio di lasciarsi cambiare il cuore, non i vestiti. Il suo regno è per chi fa e non per chi dice.