Sanremo di quest’anno si impegna a fare “spettacolo” evitando la spettacolarizzazione.

Tutti hanno notato la compostezza dei presentatori e il rifiuto di ogni stravaganza. A diversi questa impostazione non piace, perché percepita al limite anche noiosa. Di sicuro una svolta c’è stata e la soffrono quelli/e che riconoscono creatività e originalità alla trasgressione, all’eccesso (verbale e gestuale), alla possibilità anche di inscenare “scandali” perché se ne possa poi parlare nei salotti e nel gossip che riempie i rotocalchi e le televisioni.

Carlo Conti ha deciso di dare centralità alla musica e, se proprio si deve conversare, si discuta di musica, di arte e di cultura, dei linguaggi dell’immaginazione che sono capaci di penetrare nei drammi della vita vera, della carne sofferente degli esseri umani, spesso intrappolati in un mondo virtuale, in “bolle digitali” che separano i corpi e condannano alla solitudine, impediscono l’amore e spingono alla depressione, quale malattia più diffusa del secolo. Le esibizioni canore – le interpretazioni- come anche i look dei cantanti si impegnano a raccontare la vita.

E la musica diventa un potente veicolo di trasmissione di emozioni, sentimenti, affetti e vibrazioni di energia, volte a sensibilizzare l’ascoltatore, ispirando azioni positive, sulle tante questioni vitali della gente comune, sia che si tratta di problemi personali e intimi o anche psicologici o sociali, legati alla giustizia e all’uguaglianza, all’ambiente e alla pace.

Le canzoni di Sanremo spesso diventano parte della memoria collettiva, tramandando storie, valori e identità alle future generazioni. Il palco dell’Ariston è lo “spazio-luogo” abitato da una varietà di artisti e stili musicali, promuovendo la diversità culturale. È un’inclusività che aiuta a costruire una società più aperta e tollerante.

Perciò, ritengo giusta la scelta programmatica di quest’anno a “indebolire” l’intrattenimento (=la spettacolarizzazione) per “rafforzare” la crescita culturale e l'arricchimento dell'umanità (=lo spettacolo).

Sanremo è uno specchio della società italiana e delle sue evoluzioni, sulla spiritualità, la giustizia e l’amore, soprattutto sull’amore, “solo l’amore che queta questo cielo”. La canzone di Sanremo si conferma come la canzone che canta l’amore, certo.

Tuttavia, l’amore – anche a Sanremo- comincia a rompere “il guscio dell’uovo romantico” in cui è stato costretto e mortificato, cominciando a parlare linguaggi più universali, tendenti a coprire la trama fittissima delle relazioni di cura, di amicizia, di fraternità, di maternità, di figliolanza, di paternità. L’amore risorge e rinasce, oltre la bolla romantica in cui sparisce e muore.

L’umanità vive sospesa tra l’eternità e l’attimo, tra il desiderio profondo di un amore che non tramonta e la fragilità delle relazioni quotidiane, esposte all’usura dei sentimenti e alla volatilità delle emozioni.

“Dimmi tu quando sei pronto per fare l’amore”, con Vale Lp e Lil Jolie che alla fine hanno esposto due cartelli con il messaggio: “se io non voglio, tu non puoi”. È evidente il riferimento alla violenza di genere. Se “a me sembra folle non fare l’amore… Io non sono lei, la bambola che prendi e che butti giù”.

Il rischio per l’amore è che non sia un incontro tra persone libere di amarsi. Certo sono necessarie “attesa e preparazione emotiva” per l’intimità che è comunque sempre una unione di cuori per la gioia e non solo di corpi per il piacere.

Il titolo "Tu con chi fai l'amore" dei The Kolors pone una domanda diretta riguardo alle relazioni intime. Solleva interrogativi sulle motivazioni che le guidano. La domanda ripetuta nel ritornello, "Tu con chi fai l'amore e perché", costringe a riflettere sul “perché” delle scelte affettive e sessuali. Sembra spingere ad assecondare la leggerezza dell’istinto, piuttosto che lasciarsi orientare dalla razionalità. “Tu con chi fai l’amore stasera; domani chissà”. Il brano menziona però anche la confusione e l'ansia che possono derivare da relazioni superficiali: "Guarda che confusione, non c'è mai una ragione" e "Non posso credere alle voci dell'ansia".

È un richiamo alle conseguenze emotive e spirituali di una sessualità vissuta senza un autentico impegno d'amore. Per la Pop-Theology - che pone criticamente il punto di vista cristiano - il brano offre l'opportunità di riflettere sull'importanza di vivere la sessualità come espressione di un amore autentico, fedele e orientato al bene dell'altro, in contrasto con le dinamiche di superficialità e transitorietà spesso presenti nella società contemporanea.

Nel cristianesimo, l'atto sessuale non è solo un'espressione fisica, ma coinvolge l'intera persona, corpo e anima, ed è chiamato a essere segno di unione profonda e feconda tra i coniugi. La sessualità, infatti, è una ricchezza di tutta la persona – corpo, sentimento e anima – e manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell’amore. “Distinguere l’amore dal sesso” (Rocco Hunt) è decisivo.

Ed Elodie – in Dimenticarsi alle 7- chiede “rimani ancora ancora di più/ Stasera dove vai amore? / Ora che ho bisogno di te. Dimenticarsi alle sette di un giorno qualunque mentre si parla di niente/ può capitare a chiunque, ma a noi no”.

Eppure l’amara verità è che il legame non resiste. Così anche con Francesca Michielin in Fango in paradiso: “programmare un addio chiusi in una macchina” e “non so se l’avevi considerato/ che uno dei due sarebbe stato da schifo”. È il senso di vuoto che si sente quando una storia d’amore finisce.



Di fronte a questi “racconti di esperienze”, la Pop-Theology invita a rimettere al centro il valore della relazione autentica, del legame profondo, dell’amore che resiste nel tempo e supera la logica del consumo.

L’amore eterno, inscritto nell’essenza stessa del divino, rimane la chiave di lettura della condizione umana, anche quando sembra offuscato dall’instabilità delle relazioni moderne e dalla cultura digitale, che spesso anestetizza i nostri sentimenti e riduce la profondità degli incontri umani.

Si, ha ragione Rkomi in Il ritmo delle cose: “quante cose distruggiamo costruendo. È un violento decrescendo/ È un moderno decrescendo/ È un Amore senza sentimento/ È un inferno a fuoco lento”.

C’è da riflettere molto. Viviamo in un tempo di grandi opportunità tecnologiche, ma anche di profonde solitudini. La comunicazione digitale ci ha permesso di essere costantemente connessi, eppure mai così lontani gli uni dagli altri.

Le relazioni si consumano rapidamente, spesso lasciandoci svuotati e insoddisfatti. Si cresce nella costruzione tecnologica, ma si decresce nei valori umani che stanno alla base della felicità e della vera gioia. Abbiamo bisogno allora di racconti nuovi sull’amore, capaci di far uscire l’amore dalla sua bolla romantica – che lo rannicchia nel rapporto tra i due che si amerebbero “guardandosi negli occhi” - e di portarlo nel suo spazio vitale dove sempre rinasce e risorge dalle sue mortificazioni commerciali, ovvero nella relazione di cura, in tutte le sue espressioni, come quella della figliolanza (Simone Cristicchi) o della paternità (Brunori Sas).

Tanto più che la bolla romantica della famosa mistica fusionale dei due cuori che battono all’unisono è rovinosamente caduta nella trappola mediatica dei cuoricini: “Ma tu volevi solo cuoricini, cuoricini / Pensavi solo ai cuoricini, cuoricini / Stramaledetti cuoricini, cuoricini / Che mi tolgono il gusto di sbagliare tutto". È il ritornello del brano dei Coma Cose che affronta le dinamiche delle relazioni nell'era digitale, evidenziando come la ricerca di approvazione sui social media possa influenzare i rapporti interpersonali.

Questo tema trova risonanza negli insegnamenti cristiani, in particolare riguardo all'autenticità nelle relazioni e al valore della comunicazione sincera. Qui, i "cuoricini" rappresentano i "like" sui social media, simbolo di approvazione superficiale. Questo comportamento porta a una comunicazione priva di profondità.

L'ossessione per l'apparenza e l'approvazione sociale giunge a distogliere l'attenzione dalle relazioni autentiche, anche dall’amore. E persino l’amore di coppia, l’amore familiare diventa “simulazione” per nutrire l’apparenza, allo sguarda di milioni di followers ai quali si vende come “reale” ciò che invece è solo virtuale.

La saga dei Ferragnez è ormai diventata gossip popolare, ma è un fenomeno che va indagato per non degenerare nella barbarie.

Per tutti vale, l'ammonimento di Gesù contro l'ipocrisia e la ricerca di approvazione esteriore: "Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati" (Matteo 6:1).

L'invito è a coltivare relazioni genuine, basate sull'amore e sulla comprensione reciproca, piuttosto che sull'apparenza.