l giorno del Signore verrà come un ladro. Allora i cieli spariranno in un grande boato; gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta… Aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno». Alcuni lettori avranno riconosciuto nella voce di questo predicatore apocalittico i tratti dell’autore della Seconda Lettera di Pietro (3,10.12). Anche se la titolatura parla esplicitamente di «Simeone Pietro, apostolo e servo di Gesù Cristo», gli studiosi sono convinti – come per altro già si sospettava da parte di alcuni Padri della Chiesa (ad esempio, san Girolamo) – che si tratti di un patronato indiretto per un’opera che è forse l’ultima, cronologicamente parlando, del Nuovo Testamento. Il linguaggio, poi, è notevolmente diverso dalla Prima Lettera di Pietro: tra i due testi solo un centinaio di vocaboli sono comuni, mentre ben 600 sono nuovi.

Abbiamo voluto evocare quelle righe così incandescenti non certo perché siano da assumere in chiave astrofisica – appartengono infatti alla simbologia apocalittica tradizionale – ma per introdurre l’atmosfera dell’Avvento che ora inizia. In questo anno giubilare, che in passato abbiamo posto all’insegna della figura di Pietro, l’attesa è segnata da una categoria dominante, la speranza. È significativo osservare che, subito dopo le frasi citate, questo probabile discepolo dell’apostolo, a cui egli dà voce, aggiunge: «Noi, secondo la promessa di Dio, aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali abiti la giustizia» (3,13).

È, in pratica la sintesi del tema centrale della stessa predicazione di Cristo, il Regno di Dio ove la giustizia e la pace domineranno. Si deve, poi, notare che questa Seconda Lettera – della quale suggeriamo la lettura integrale – risponde a un dubbio che serpeggiava tra i cristiani di allora e che era capace di generare scoraggiamento e crisi di fede. Alcuni «falsi maestri o profeti», infatti, seminavano questo sospetto: «Dov’è la venuta di Cristo da lui promessa? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi, tutto rimane come al principio della creazione» (3,4).

È la caduta della speranza che registriamo anche ai nostri giorni, è quel vuoto interiore che induce allo scoraggiamento, è la tiepidezza spirituale aspramente denunciata dal libro dell’Apocalisse: «Tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (3,15-16). Altrettanto brutale è il linguaggio della Seconda Lettera di Pietro: «Per costoro si verifica il proverbio: “Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango”» (2,22).

La Parola di Dio è come una scossa, un fremito per far rinascere la speranza e la vitalità della fede. L’autore della Lettera agli Ebrei ci esorta: «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza» (10,23).