III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) -  4 MAGGIO 2025

Gridiamo anche noi: «È il Signore!»

Il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!» Giovanni 21,7

La pagina del Vangelo di Giovanni ci racconta la terza apparizione pasquale sul lago di Tiberiade, in cui il Risorto rende fruttuosa l’azione dei suoi discepoli. Nell’intenzione dell’evangelista il racconto è una grande metafora dell’opera apostolica della Chiesa: la sintesi ideale del ministero ecclesiale nei secoli, dopo la Pasqua di Cristo. Gli apostoli coinvolti sono sette, anziché dodici, perché il sette è numero universale: sottolinea come questa pesca non sia rivolta semplicemente a Israele, ma a tutti i popoli.

Eppure l’attività degli apostoli è fallimentare: «Quella notte non presero nulla». Il racconto vuole dirci che le iniziative umane sono inevitabilmente destinate a fallire: anche nella Chiesa quelle prese dagli uomini, da soli e senza Gesù, non portano a nulla, sono fatiche sterili. All’alba Gesù appare loro sulla riva, ma essi non lo riconoscono. Egli si rivolge a loro in modo affettuoso: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?», e alla loro risposta negativa dà loro più che un suggerimento, un comando: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». Questa precisa indicazione evidenzia come la pesca abbondante non sia frutto di casualità, ma dell’intervento di Gesù, che ha indicato lui stesso dove gettare le reti. Essi obbediscono e la rete si riempie di pesci, senza per questo spezzarsi.

Allora il discepolo che Gesù amava lo riconosce e dice a Pietro: «È il Signore». Pietro si getta in acqua per raggiungere più in fretta la riva. E proprio a lui Gesù per tre volte chiede: «Posso essere certo che tu mi ami?». Glielo chiede per tre volte, perché per tre volte Pietro aveva detto di non conoscere Gesù. È una domanda stupenda, timida e insieme insistente, sulla bocca di chi è già entrato nel mondo nuovo della vita risorta e tuttavia ha ancora bisogno di sentirsi amato.

La stessa domanda oggi il Signore la rivolge a noi. Non ci chiede: «Amami» e neanche ci dice: «Io ti amo», ma ci interroga: «Mi vuoi bene?». Tocca a noi trovare la stessa risposta di Pietro. E se riusciremo a scoprire dentro di noi un po’ d’amore, di quell’amore che non sapremo mai più rinnegare e dimenticare, quale premio ci sarà riservato? «Pasci le mie pecorelle ». Gesù per premio ci rende responsabili e ci invita a collaborare con lui per l’avvento di un mondo nuovo. Come se dicesse: «Ti affido i fratelli che amo. Siano anche per te come fratelli». Questo compito lo potremo realizzare anzitutto offrendo la testimonianza della nostra fede.

«È il Signore!», dovremmo gridare anche noi. E questo nella normalità della vita, perché è nella normalità della vita che il Signore si rende presente. A volte godiamo della sua presenza, come se fossimo con lui attorno a un fuoco che ci illumina e ci riscalda. A volte di quel fuoco rimane quasi nulla: un po’ di brace ancora calda, che però basta a evocare le tracce di un passaggio.

Ma la traccia più bella è quella che egli lascia nel cuore quando, per averlo incontrato, sentiamo che tutto cambia, tutto si rischiara: con lui risorto ci sembra di poter risorgere anche noi, dalle nostre delusioni e dalle nostre tristezze.