Accogliere la croce, portare il Signore

 

«Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me». Matteo 10,37-38

 

Prosegue e si conclude oggi il secondo Discorso di Gesù, rivolto agli apostoli e incentrato sulla missione (Matteo 10, Vangelo): ai Dodici il Signore parla in modo franco e insiste sull’esigenza di mettere al centro Lui, fonte della Vita; il suo «è un amore edificato per sempre» (Salmo 88, Responsorio), dal quale discende ogni amore. Possiamo vivere la tentazione di pensare che la nostra vita sia riuscita quando le nostre relazioni funzionano, quando il nostro lavoro, i nostri impegni, le nostre aspirazioni portano frutto, quando riceviamo il contraccambio per quello che facciamo per gli altri e ci sentiamo amati, capiti, rispettati, apprezzati: in realtà, molto spesso, quando appare tutto piano e perfetto è solo il nostro egoismo a trarre giovamento e finiamo per «tenere per noi la nostra vita», in fondo «perdendola».

Gesù ci insegna che la vita è piena e feconda solo se è data senza riserve, come ha fatto Lui, se è «perduta per causa sua»: proprio allora, nel perderla, «la troveremo». È un discorso aspro, che può indurre a recedere dal seguirlo: Gesù lo fa solo a quanti ha scelto per essere suoi testimoni, di fronte a ostilità e persecuzioni che non verranno solo dall’esterno ma anche dagli amici. La «spada» che Egli dice di portare, che «separa l’uomo da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera», è l’esigenza della sequela: essa chiede disponibilità a lasciare ogni sicurezza terrena per «stare con Gesù» (Marco 3,14), laddove Egli ci ha chiamati a seguirlo (il matrimonio e la famiglia, la vita religiosa, il ministero ordinato, il lavoro) e per compiere quanto ci ha chiesto. Il segreto per una vita riuscita, è fare ciò che siamo chiamati a fare solo per amore di Lui, l’unico che non delude, rinnovando continuamente il nostro sì a Lui attraverso il sì alla nostra quotidianità, alle nostre relazioni, talora imperfette, tra le quali si dispiega e si compie la nostra sequela: per questo Egli ci invita, per essere «degni di Lui», a «prendere ogni giorno la nostra croce e seguirlo».

Chi segue Lui porta Lui: la ricompensa del discepolo, la sua vera e inestimabile ricchezza, che nessuno può togliergli, è avere Dio con sé! Forte di questa sfolgorante Presenza il credente porta la stessa Luce di Cristo, la stessa benedizione che offre Dio, che sempre si esprime nel dono della Vita: è quanto accade nel racconto della I lettura (2Re 4), ove Eliseo, riconosciuto da una donna ricca ma sterile come «un uomo di Dio» e accolto da lei e suo marito con ogni riguardo, assicura alla coppia l’arrivo di un figlio con le stesse parole con cui Dio lo aveva assicurato ad Abramo e Sara (cfr. Genesi 18). Il vero discepolo, consacrato figlio nel Figlio con il Battesimo, «morto al peccato e vivente per Dio, in Cristo Gesù» (II Lettura, Romani 6), porta la Vita senza fine del nostro Salvatore: «chi accoglie lui accoglie Gesù stesso!» (Vangelo, Matteo 10,40). Quale grande onore e responsabilità sono consegnati nelle nostre mani dall’Amore infinito di Dio!