La grammatica della preghiera
Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli Luca 11,1
Dopo aver affrontato il tema della cura e dell’ascolto, l’evangelista Luca ci parla della preghiera: Gesù insegna a noi, suoi discepoli, a pregare con il suo stile di figlio. Il Padre nostro che recitiamo abitualmente è una preghiera che non resta sulle labbra, ma si fa vita autentica, intreccio di lode, fiducia, richiesta di perdono e impegno verso il prossimo, una fraternità concreta che nasce dal cuore del Padre. Il titolo di Padre con cui apriamo la preghiera è l’indizio della fiducia. La paternità di Dio si rivela nella cura per le sue creature, anche quando dei figli non capiscono, non comprendono il bene che il Padre vuole loro. Non un Dio distante o formale, ma un Padre che accoglie e protegge, evocando il legame profondo di fiducia e amore tra creatore e creatura.
Santificare il nome di Dio vuol dire, con un linguaggio da bambini, far fare bella figura al Padre. Il nome infatti è la realtà stessa della persona. Un bambino può far fare brutta figura ai genitori, se si comporta male. Per questo gli chiediamo tutti i giorni, più volte al giorno: «Aiutaci a rendere santo il tuo nome, a presentarti bene, perché chi vede noi dia gloria a te». Venga il tuo regno, Signore vuol dire: «Sii tu a regnare nella mia vita». Sono io che esprimo il desiderio di lasciar comandare Dio.
Il pane quotidiano rappresenta le necessità concrete della vita, ma anche un simbolo della fiducia nella Provvidenza di Dio, che si prende cura di ogni aspetto dell’esistenza.
Perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, esprime il legame inscindibile tra il perdono ricevuto da Dio e la capacità di perdonare gli altri, condizione necessaria per una vita autenticamente cristiana. E non abbandonarci alla tentazione: lo supplichiamo perché ci tenga per mano nel momento della difficoltà, perché con lui siamo al sicuro.
Il dono più grande, però, di cui abbiamo bisogno, che comprende tutto, è riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita. Questa è la preghiera che, secondo la promessa di Gesù, viene sempre esaudita. Non promette la guarigione quando siamo malati o il superamento di un esame o il conseguimento di un buon posto di lavoro. Gesù promette lo Spirito che «il Padre darà a tutti quelli che glielo chiedono». Lo Spirito infatti può rivelarci il vero volto di Dio, volto di un Padre che rimane accanto a noi con una tenerezza quale nessun padre e nessuna madre sarebbero capaci di dimostrare verso il proprio bambino.
Il Padre nostro ci libera dalla preghiera magica che vuole usare Dio e dalla preghiera egoista centrata solo sui nostri bisogni. Pregare il Padre nostro è uscire da noi stessi per entrare nel progetto di Dio. Sappiamo bene che non basta insistere, battere i piedi per ottenere quello che vogliamo: non è infatti questo l’atteggiamento cristiano. Siamo figli e amici e ci fidiamo di colui che è veramente buono. Anche nelle situazioni più difficili ci mettiamo nelle sue mani e gli chiediamo di fare quello che vuole lui! Se chiediamo la forza per vivere bene una situazione difficile, certamente l’avremo, come dice il Salmo 138 (v. 3): «Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto; hai accresciuto in me la forza».


