Salvi? Sì, ma non per il curriculum

Sforzatevi di entrare per la porta stretta Luca 13,24

Gesù è in cammino verso Gerusalemme, la Città santa. Durante il viaggio si ferma a insegnare nelle città e nei villaggi che incontra lungo la strada. A un certo punto, una persona gli rivolge una domanda carica di curiosità e forse anche di provocazione: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».

Era una questione dibattuta dai rabbini del tempo, molti dei quali erano convinti che, al momento in cui tutte le genti verranno radunate (cfr. Isaia, I Lettura), solo un piccolo numero sarebbe entrato nel Regno di Dio. E tra questi pochi, pensavano di esserci proprio loro: gli scrupolosi osservanti della Legge, coloro che si attenevano minuziosamente a ogni precetto.

Ma Gesù non si lascia rinchiudere in un calcolo o in una previsione. La sua risposta non dà cifre, ma apre un orizzonte nuovo. Invita ciascuno a non restare spettatore della salvezza, ma a mettersi in gioco in prima persona: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Il problema non è quanti si salvano, ma se stiamo davvero percorrendo la via che conduce al Regno.

La “porta stretta” non indica semplicemente un passaggio angusto, faticoso da attraversare. È piuttosto una porta difficile da trovare. La si scorge solo se ci si ferma, se si prende tempo per cercare. Non appare subito, non è spalancata come un grande portone in cui basta entrare perché lo fanno tutti. Per trovarla e varcarla occorre invece compiere una scelta personale, consapevole e responsabile. Gesù usa qui una parabola: la porta che conduce alla sala da pranzo è stretta, e attorno a essa si accalca una grande folla. In primo piano ci sono coloro che si ritengono “veri cristiani”, convinti di avere un rapporto privilegiato con Cristo, perché non hanno fatto altro che proclamare apertamente la loro fede e presentarsi come cittadini del Regno davanti agli altri. Tuttavia ecco la risposta, dura e ripetuta due volte: «Non vi conosco, non so di dove siete». Parole forti, che spezzano ogni falsa sicurezza. Non basta aver “mangiato e bevuto” con lui, né aver ascoltato la sua Parola o predicato in suo nome. Ciò che conta davvero è una vita trasformata, una fede vissuta nella concretezza delle scelte, nel cammino quotidiano di conversione.

L’avvertimento finale di Gesù ci spiazza: «Alcuni tra gli ultimi saranno primi e alcuni tra i primi saranno ultimi». Con questo capovolge le attese e sovverte i criteri umani di giudizio. Chi si riteneva sicuro del posto al banchetto del Regno si troverà fuori, mentre altri – considerati lontani, esclusi, non meritevoli – verranno da ogni parte della terra e prenderanno posto alla mensa con i patriarchi.

È un richiamo forte: i criteri di Dio non coincidono con i nostri. Non bastano le appartenenze religiose né le osservanze esteriori, né la presunzione di essere “giusti”. Il Regno è dono, ma chiede accoglienza vera, vita trasformata, fiducia nel cuore di Dio. Ma come può un Padre di infinita misericordia e amore pronunciare parole così dure: «Non vi conosco, non so di dove siete»? Dio non rinnega mai la sua pietà; la dona anche a chi, apparentemente, non la merita. Ma la sua misericordia non è mai un diritto da conquistare o pretendere. Chi crede di meritarla finisce per perderla, mentre chi, con umiltà, si riconosce indegno, senza saperlo, si trova già dentro la sala del banchetto, a celebrare la gratuita grandezza dell’amore di Dio.