La forza del cuore ostinato
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? Luca 18,8
Gesù racconta la parabola della vedova che, pur essendo ignorata da un giudice ingiusto, non smette di chiedere giustizia. La vedova, figura fragile e sola, prende iniziativa di fronte al giudice ingiusto con parole decise: «Fammi giustizia!». Le sue parole ricordano quelle del salmista: «Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall’uomo perfido e perverso» (Salmo 42,1). All’inizio il giudice resta indifferente, ma alla fine cede per stanchezza, riconoscendo la forza della sua insistenza. Gesù sottolinea che, se persino un uomo ingiusto può accogliere chi è costante, quanto più Dio, Padre buono e giusto, ascolterà chi lo invoca con cuore fiducioso.
Molti cristiani possono riconoscersi nella fatica della vedova. La preghiera non è sempre facile, gioiosa o immediata; spesso è accompagnata da dubbi, attese e silenzi. Tuttavia, proprio nella perseveranza si manifesta un dono straordinario: la consapevolezza della propria condizione filiale e la certezza della vicinanza di Dio. Sant’Agostino osserva: «Sicuri di questa sua promessa non cessiamo di pregare, sapendo che anche questo è suo dono». Già il semplice atto di chiedere è una grazia, e talvolta, nel chiedere, si manifesta un primo segno di esaudimento. Ecco perché ai discepoli scoraggiati Gesù indica la preghiera perseverante come strada di resistenza interiore. Non è una questione di sentimentalismo, ma di combattimento spirituale: la fede che lotta contro la sfiducia, l’“io che crede” che deve continuamente contrastare l’“io che dubita” o si chiude nell’indifferenza.
«Pregare sempre, senza stancarsi » significa proprio questo: continuare a bussare anche quando sembra inutile, continuare a credere anche quando tutto dentro di noi e intorno a noi suggerirebbe di smettere. È un atto di fiducia ostinata, quasi folle, perché va oltre l’evidenza immediata. Se entriamo in questa prospettiva, la preghiera non è evasione, ma forza di resi-stenza e di combattimento. Pregare non significa chiudere gli occhi davanti al reale per crearsi un’oasi di tranquillità artificiale, ma al contrario significa entrare più profondamente nella realtà, affrontandola con le armi della fede. È una lotta contro tutto ciò che in noi spegne la fiducia: la rassegnazione, la stanchezza, l’indifferenza, il sospetto che Dio non ascolti. Se è legittimo un dubbio, non è tanto da cercare sul versante di Dio, quanto sul nostro: quanto è viva la nostra fede? Quanto riusciamo a mantenerla attiva nella vita concreta?
Gesù, vedendo la storia dell’indifferenza umana, delle freddezze e dell’incubo delle cose materiali, pone questo amaro interrogativo: «Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?». La grande domanda riguarda la fede viva degli uomini: fede per seguire la via di Gesù, fede per superare divisioni e antagonismi, fede per trasformare la sofferenza e fare del potere servizio in favore dei piccoli, fede per restare aperti all’amore del Padre. Attraverso la fede, attraverso questa fiducia ostinata, la storia intera può trasformarsi: il grido degli uomini diventa grido che invoca la giustizia salvatrice di Dio e la rende presente già qui, nel nostro vivere quotidiano. Così la preghiera e la perseveranza nella fede sono una lotta, una resistenza quotidiana, un atto di fiducia folle che mantiene vivo il cuore anche nell’aridità e nella difficoltà.


