Chi non ricorda il volto di Chico Mendez sorridente dietro i suoi baffi sudamericani? Un volto che ispirava speranza e coraggio con due occhi che sembravano scrutare nell'anima del mondo fino a interrogare le nostre coscienze. Chico Mendez sembrò svelare al mondo che si poteva essere condannati a pagare il prezzo più alto, quello della vita, non solo per la difesa dei diritti umani ma anche di quelli della terra. Nello stesso tempo comprendevamo che i diritti della terra sono umani, nel senso che ci riguardano perché ne va della nostra salute e della giustizia globale. Da quel momento scoprimmo che gli attivisti ambientali, gli animatori di comunità rurali, gli oppositori allo sfruttamento indiscriminato del suolo e del sottosuolo che ogni anno pagano con la vita sono tanti in America Latina. Solo nello scorso anno se ne sono contati 331 in tutta la regione sudamericana e dall'inizio dell'anno sono già 31 gli assassini nella sola Colombia.

Il 20 aprile scorso è stata uccisa Sandra Liliana Peña, governatrice indigena del Cauca in Colombia. Era espressione importante del Cric, il Consiglio regionale indigeno del dipartimento del Cauca. In Colombia le leggi riconoscono e rispettano alcune istituzioni autonome tradizionali degli indigeni sul piano giudiziario, amministrativo, politico e sociale. Ma tutto questo non basta perché è troppo frequente in quell'angolo di mondo lo scontro con la prepotenza dei narcotrafficanti che impongono la monocoltura della coca oppure con multinazionali che arrivano con la copertura del governo sbandierando le certificazioni di una concessione mineraria ottenuto a suon di tangenti dal governo centrale che sostiene che se il suolo ha proprietà privata, il sottosuolo è dello Stato che lo può concedere al migliore offerente oppure con l'impresa che ha ottenuto di costruire una diga che porta via l'acqua dai campi in cui i campesinos coltivavano i prodotti per la propria sussistenza.

Avviene così che, a distanza di una settimana dall'uccisione di Sandra Liliana, gli indigeni scelgano di protestare in una maniera singolare: si organizzano per sradicare a mano una piantagione di 10 ettari di coca. Hanno deciso così le 10 comunità (pueblos) e le 127 autorità indigene. Non hanno mai deciso di dedicarsi alla coltivazione esclusiva di quella pianta anche perché è maledetta. Se è vero che si arriva persino a tre raccolti l'anno, è altrettanto vero che poi i campi devono riposare per due anni dal momento che quelle piante prosciugano tutto ciò che nel terreno c'è di nutriente per le piante stesse. Ma è altrettanto vero che quando coltivavano banane non riuscivano ad arrivare in tempo al mercato generale della città più vicina perchè non c'erano strade sicure e percorribili e la frutta andava a male, da quando coltivano coca hanno costruito persino una pista d'atterraggio nei pressi dei campi. Basterebbe solo finanziare qualche piccola industria per la trasformazione in loco della frutta raccolta, ma nessuno se ne occupa.

Per tutto questo si batteva Sandra Liliana e si ribellava anche allo strapotere dei proprietari terrieri che stabilivano il prezzo più conveniente per loro. Da noi si direbbe che operavano in regime di monopolio. Ricordo ancora quando, visitando quelle terre, un campesino indigeno un giorno mi condusse in una piantagione di coca e mi chiese di accompagnarlo in un rito ancestrale per la terra che concluse prendendo tra le mani una manciata di terra e dicendo solennemente: "Esta tierra es de Diòs, esta tierra es mi tierra".

Ecco, gli attivisti dell'ambiente non sono altro che i profeti di quella preghiera e vengono messi a tacere perché rivelano e ricordano quella verità alle mafie dei narcos, a quelli delle imprese sovranazionali e a quelle del governo. Anche nel caso della protesta dell'erradicazione delle piante di coca la reazione dei narcos non si è fatta attendere e hanno sparato, dapprima per spaventare e poi per uccidere, cercando di ostacolare la manifestazione.

Un morto e più di trenta feriti è il bilancio dell'aggressione. In questi giorni è entrato in vigore il Trattato di Escazù (Costa Rica) che prevede di tutelare gli attivisti difensori dell'ambiente in tutto il continente latinoamericano che avrebbe proprio la finalità di difendere persone, comunità e ambiente. 12 dei 24 Parlamenti dei Paesi firmatari hanno ratificato e pertanto il Trattato può dirsi approvato e in vigore. Peccato che proprio Colombia e Brasile, che si contendono la testa della macabra classifica degli omicidi, sono tra i 12 che non hanno ancora ratificato! Un Trattato che è il risultato concreto del processo avviato in America Latina dalla Conferenza delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile “Rio+20” tenutasi nel 2012.

Per la prima volta, nero su bianco, si impone agli Stati aderenti di garantire protezione agli attivisti ambientali, l'obbligo di consultazioni del pubblico in materia ambientale, azioni in giudizio nei casi di danno ambientale, il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. Una consapevolezza internazionale più vigile e più avvertita, dovrebbe essere in grado di accompagnare questo importante processo e di indicarlo come nave-scuola per il mondo intero. Lo dobbiamo alla memoria delle vittime.