L’ultima consegna non fu una formalità, ma un impegno morale. Graziano Petrini, già consumato dalla malattia, prese il polso del cognato Claudio Boffa e glielo disse senza giri di parole: «Non farmi la persona impegnata. L’AIL a Teramo va resa una realtà viva e autonoma: troppe famiglie hanno bisogno di aiuto». Era il suo testamento. Pochi mesi dopo Graziano se ne sarebbe andato, a soli cinquant’anni, ucciso dalla stessa leucemia contro cui aveva iniziato a impegnarsi da volontario. Ma quella promessa, raccolta in una stanza d’ospedale, avrebbe preso la forma di una delle esperienze associative più dinamiche dell’Abruzzo.

Graziano era un uomo “di territorio”: sport, iniziative sociali, associazionismo culturale. Con “Città Futura” aveva scelto, di anno in anno, di sostenere diverse realtà solidali: AIRC, AISM, fino all’AIL. Nel 2012 fu proprio una donazione al reparto di Ematologia di Pescara a mettergli accanto il professor Giuseppe Fioritoni. Pochi mesi dopo, durante una normale donazione di sangue, i valori fuori scala avrebbero svelato la diagnosi. «È stata un’ironia della sorte quasi insopportabile», racconta Boffa. «A luglio consegnava un assegno come benefattore, a novembre entrava nello stesso reparto come paziente».

Il primario non ebbe dubbi: «Ce la farai e dovrai guidare la sezione AIL di Teramo», gli disse. Quella sezione però, formalmente, non esisteva ancora davvero: la realtà teramana restava legata a Pescara. «Qui avevamo un reparto di Ematologia senza nemmeno una segreteria, né uno sportello per l’accoglienza», ricorda Boffa. «I fondi raccolti a Teramo finivano altrove, mentre i nostri pazienti erano scoperti».

Nel frattempo le condizioni di Graziano peggioravano. «Prima di morire mi chiese di prendere in mano la situazione. Mi disse che vedeva famiglie arrivare da lontano, dormire in auto o arrangiarsi negli alberghi perché non potevano permettersi settimane di permanenza. Era questo che lo faceva soffrire più della malattia». Da imprenditore e presidente di Ascom Teramo, Boffa non aveva certo tempo da regalare. Ma quella richiesta gli cambiò la rotta. Iniziò un percorso lungo e accidentato con la sede nazionale dell’AIL per ottenere l’autonomia, che arriva nel 2021. Oggi l’AIL Teramo “Graziano Petrini” è tra le prime trenta sezioni italiane per capacità di raccolta fondi e viene indicata dalla sede nazionale come una buona pratica territoriale. Negli ultimi tre anni ha destinato circa 100.000 euro alla UOS di Ematologia dell’ospedale Mazzini, rispondendo puntualmente al piano dei fabbisogni indicato dai medici: macchinari, sedute terapeutiche, dispositivi biomedicali, strumentazione informatica.

Ma il cuore dell’associazione non è solo il finanziamento degli strumenti: è la presenza. Circa settanta volontari danno vita ogni giorno al desk di accoglienza in reparto, gestendo pratiche, appuntamenti, accompagnamenti interni. «Significa liberare tempo prezioso ai medici e agli infermieri per occuparsi delle cure», spiega Boffa. «E significa dare al malato una faccia amica al primo ingresso in ospedale».

Poi c’è la mobilità solidale, uno dei servizi più richiesti: trasporti gratuiti per chi deve sottoporsi a terapie frequenti, anche fuori regione. «Andiamo a prendere i pazienti la mattina, li seguiamo per tutto il percorso terapeutico e li riportiamo a casa la sera». A questo si aggiungono aiuti economici mirati per i nuclei più fragili e il sostegno alla permanenza dei familiari accanto ai malati. L’obiettivo, dichiarato, è lo stesso che aveva Graziano: non lasciare nessuno solo.

Sul fronte del futuro, AIL Teramo lavora alla realizzazione di una nuova aula meeting in reparto e alla riorganizzazione della sede in Corso Cerulli, dove nascerà anche una piccola biblioteca interna. Ma il progetto più ambizioso riguarda l’umanizzazione delle cure: la creazione di spazi dedicati ai pazienti ematologici cronici, separati dai reparti per le fasi acute, per permettere una presa in carico meno ospedalizzata, più “di vita”. L’esperienza teramana è osservata persino dall’Istituto Oncologico Europeo di Milano come modello potenzialmente esportabile.

Fondamentale anche la collaborazione con l’Università di Teramo: uno studio del Dipartimento di Scienze della Comunicazione sta analizzando la percezione dell’associazione sul territorio, la fiducia dei cittadini e l’impatto sociale del volontariato, con l’obiettivo di definire un vero “DNA operativo” replicabile da altre sezioni AIL. Ma se c’è un volto che racconta meglio di ogni statistica questa storia è quello dei volontari. «Sono pensionati, professionisti, persone che hanno vissuto in famiglia la malattia», dice Boffa. «E poi ci sono quelli che arrivano semplicemente perché sentono il bisogno di fare qualcosa di buono». Racconta di una signora che, dopo aver venduto centinaia di Stelle di Natale, rifiutò di salire sul palco per essere ringraziata: «“Il bene va fatto in silenzio”, mi disse. “Se avessi voluto visibilità sarei andata in politica”. Questa è la vera ricchezza del volontariato».

La forza di AIL Teramo è forse tutta qui: nella comunità che si stringe attorno a un reparto, a un’associazione, a una memoria. Quella di Graziano Petrini, che voleva solo «dare una mano agli altri». A dieci anni dalla sua scomparsa, la promessa affidata a un cognato è diventata un’organizzazione viva, capace di fare rete tra cittadini, medici, università e volontariato. Una storia che può ispirare tante altre realtà locali a non fermarsi alla buona volontà, ma a costruire servizi veri, stabili, concreti. Perché, come ripete Boffa, «nel volontariato non servono eroi: servono presenza, responsabilità e il coraggio di fare sul serio».