La sabbia delle macerie di Gaza è calda e tagliente. L’aria è impregnata di polvere, sudore e fumo da sparo. Le file di uomini, donne e bambini si snodano come fiumi umani verso i centri di distribuzione del cibo, il volto scavato dalla fame, gli occhi sospesi tra speranza e paura. È in questo scenario che Omar, 23 anni, sfollato palestinese, ricorda: «Verso le 3 del mattino è iniziato un intenso fuoco d’arma da fuoco. C’erano spari dal quadricottero, dall’elicottero Apache, dai carri armati, dalle imbarcazioni della marina e dai soldati. Un proiettile mi ha colpito a una gamba. Sanguinavo costantemente. Uno dei ragazzi con me ha cercato di tirarmi fuori. È stato colpito alla testa ed è morto sul mio petto. Eravamo andati lì solo per il cibo, solo per sopravvivere come tutti gli altri».

La sua è una delle tante voci raccolte da Medici Senza Frontiere (MSF) nel rapporto “Non sono aiuti umanitari ma uccisioni orchestrate”, un documento che fotografa con precisione e crudezza la trasformazione dei centri di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) in “trappole mortali”.



Un meccanismo letale e ricorrente

Tra il 7 giugno e il 24 luglio 2025, nelle cliniche MSF di Al-Mawasi e Al-Attar sono arrivati 1.380 feriti provenienti da questi centri. Ventotto erano già morti. Settanta­uno erano bambini, venticinque sotto i quindici anni. «Non si tratta di eventi isolati, ma ricorrenti», spiega Stefano Di Carlo, direttore generale di MSF Italia. «Abbiamo visto due tipologie di feriti: quelli colpiti dalla calca e quelli, 174 persone, feriti da arma da fuoco. Non parliamo di proiettili vaganti: molte ferite sono agli arti inferiori, per bloccare chi corre, o al corpo, con colpi diretti e intenzionali».

Secondo Di Carlo, la gestione stessa dei centri GHF sembra progettata per generare caos e vulnerabilità: «In un contesto di crisi nutrizionale conclamata, con la popolazione affamata, ci sono standard internazionali per gestire la folla e garantire sicurezza e dignità. Qui vediamo l’opposto: guardie armate che sparano, distribuzione vincolata a obiettivi militari, una strumentalizzazione terribile degli aiuti».



Numeri che denunciano intenzionalità

L’analisi medica di MSF è inequivocabile: all’11% dei pazienti di Al-Mawasi con ferite da arma da fuoco sono stati colpiti testa e collo, al 19% torace, addome e schiena. A Khan Younis le ferite colpiscono più spesso gli arti inferiori, ma sempre in modo mirato. «Questo ci porta a parlare di uccisioni orchestrate», ribadisce Di Carlo. Oltre ai colpi d’arma da fuoco, si contano 196 persone ferite nella calca o aggredite da altri per derubarle del cibo appena ottenuto. Tra loro, un bambino di 5 anni con trauma cranico e una donna morta per asfissia.



Dal controllo ONU alla militarizzazione

Fino a maggio, la distribuzione degli aiuti era coordinata dalle Nazioni Unite e gestita da organizzazioni indipendenti. Poi, il passaggio forzato alla GHF: quattro centri, tutti sotto pieno controllo militare israeliano e presidiati da contractor statunitensi. Di Carlo è netto: «Basterebbe sbloccare l’ingresso degli aiuti via terra, lasciarli gestire alle organizzazioni umanitarie sotto l’egida ONU e gran parte del caos diminuirebbe. Ma Israele blocca gli aiuti alla frontiera e questo alimenta la pressione, la disperazione e la violenza».



Un genocidio sotto gli occhi di tutti

Il direttore di MSF Italia non usa mezzi termini: «Ci troviamo di fronte a quello che moltissimi definiscono un genocidio, e anche noi lo definiamo tale. Attacchi ai civili, distruzione di infrastrutture, ospedali colpiti, ostacoli alla migrazione dell’assistenza umanitaria. La comunità internazionale resta timida, se non indifferente. Ma se gli Stati non difendono il diritto umanitario, gradualmente nessuno lo rispetterà più».

La preoccupazione è che questa dinamica diventi un precedente: «Rischiamo un futuro in cui l’azione umanitaria sarà sempre meno rilevante, perché non avrà più spazio per operare. E questo non riguarda solo Gaza, ma ogni crisi a venire».



L’appello: smantellare la GHF

MSF chiede che il sistema di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation sia smantellato subito, che l’Italia – e in particolare il ministro degli Esteri Antonio Tajani – faccia pressione su Israele, e che Stati Uniti e donatori privati sospendano ogni sostegno politico e finanziario alla GHF. «Il diritto a ricevere aiuto in condizioni di sicurezza e dignità non può essere negoziato», afferma Di Carlo.
Tra le testimonianze raccolte, quella di un coordinatore medico di MSF resta impressa: «Non avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione del genere: curare pazienti colpiti direttamente mentre cercavano di procurarsi del cibo. Abbiamo iniziato a vedere persone arrivare morte. Giovanissimi. Senza documenti. Senza familiari». O, ancora, la voce di Ahmed, che sintetizza la follia di quanto sta accadendo: «Chiunque vi dica che sono aiuti umanitari, questo non lo è. Dovremmo andare a prendere del cibo per i bambini e morire»?

Se la comunità internazionale continuerà a guardare altrove, quei banconi di pane e farina resteranno laboratori di crudeltà. «Il diritto più elementare – quello di nutrirsi – oggi si paga con la vita», conclude Di Carlo. «Ogni secondo di inerzia alimenta un genocidio silenzioso, scritto coi proiettili sui corpi dei più vulnerabili».