I figli sono davvero tutti uguali? In Italia, per il momento, ancora no. E nonostante l'orgoglio del premier Enrico Letta che il 12 luglio scorso aveva salutato con entusiasmo il via libera al provvedimento che abolisce la distinzione tra eredi legittimi e naturali ("Finisce una discriminazione che in tutta la storia del nostro Paese ha accompagnato drammi umani veri e propri... Da oggi esistono solo figli senza aggettivi"), la strada per un reale parità dei diritti di tutti i bambini appare ancora lunga e irta di insidie.

Certo, la presenza nella squadra di Governo del ministro per l'integrazione Cécile Kyenge, che ha assunto formalmente la presidenza della Commissione per le adozioni internazionali, avrebbe fatto immaginare qualche passo avanti ulteriore e più deciso. Soprattutto alla luce del fatto che, vera pecora nera d'Europa, l'Italia non ha ancora ratificato la Convenzione dell'Aja del 1996 (17 anni fa...) sulla protezione dei minori.

L'uguaglianza è un diritto fondamentale ma come si fa a sbandierarla quando ancora nel nostro Paese non è stato fatto nulla per le adozioni dei bambini dell'Islam, figli abbandonati che non possono essere accolti da famiglie residenti in Italia? Non c'è più nemmeno la giustificazione di un Governo piegato ai diktat della Lega Nord, principale ostacolo alla ratifica sulla base del "convincimento" che la kafala, la più alta forma di tutela dell'infanzia nei Paesi dell'Islam che non riconoscono l'adozione ma garantiscono una protezione sostitutiva per gli orfani derivata dal diritto commerciale, fosse in qualche modo contraria al nostro ordinamento giuridico. 

 

 

Esistono dunque bambini abbandonati dei Paesi islamici che non possono essere accolti da famiglie residenti in Italia. E ci sono tanti bambini che non possono neanche entrare nel territorio italiano pur essendo affettivamente e legalmente uniti, grazie ad un provvedimento di kafala, a coppie residenti in Italia di nazionalità mista, di cui almeno una persona è originaria del Paese di origine del minore. 

 

Come spiega Marco Griffini, presidente Ai.Bi.: «Spero che il nostro Stato confermi la propria attenzione al riconoscimento dei diritti dell’infanzia in maniera scevra da qualunque discriminazione e promuova, quindi, la creazione di uno spazio europeo – e non solo – in cui le decisioni sui minori vengano rispettate uniformemente e al di sopra della legislazione dei singoli Stati».