«Non si vede la necessità di costruire ulteriori cubature in una città che ha centinaia di migliaia di metri cubi non utilizzati». Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf Italia, esprime perplessità (da tifoso romanista) sul progetto del nuovo stadio della Roma, che dovrebbe includere anche tre discussi grattacieli disegnati dal solito archistar. È solo l'ultimo intervento di uno dei padri nobili dell'ambientalismo italiano, che il 6 settembre compie 80 anni.

Pratesi, che nel 1966 ha fondato il Wwf di cui è stato a lungo presidente, è architetto, giornalista e si diletta con successo nell'illustrazione naturalistica. Forse l'unica esperienza della sua vita che meno gli era congegnale, è stata quella da parlamentare, durata un paio d'anni perché il governo Amato-Ciampi ebbe vita breve. Troppo schietto per fare politica, poco disponibile ai compromessi, amante della natura e della famiglia, Pratesi ha sette fratelli, una moglie da oltre mezzo secolo, quattro figli, sei nipoti, un cane.

Quando lo intervisto, pranza con un grappolo d'uva biologica nella sua azienda agricola di Corchiano, che si trova in un'area naturale protetta, a quattro chilometri dal paese più vicino.

‒ Uno stile di vita coerente ed ecosostenibile quanto conta?

«Molto, se pensiamo che oggi ciascuno dei 7,2 miliardi di persone al mondo (che arriveranno a 9,6 tra poco più di 35 anni) ha a disposizione (contando anche deserti, ghiacciai, montagne e altri luoghi invivibili) poco più di 2 ettari (quattro campi di pallone) a testa. Se si considerano però solo le terre arabili, i metri quadrati a disposizione scendono a soli 2.000 metri quadri. Il nostro Pianeta ha risorse limitate: se tutti gli abitanti del Pianeta volessero stili di vita simili a quelli dei Paesi sviluppati (tendenza che nessuno può pensare di contrastare) occorrerebbero 2,5 pianeti in più. Possiamo permettercelo?»

‒ Eppure Paesi come la Cina stanno facendo sempre più shopping di terreni agricoli in Africa e le monocolture industriali si diffondono ovunque.

«Vero, l’arraffare terreni a spese delle agricolture locali – più attente all’ambiente e meno drogate da tecniche invasive di lavorazione del suolo, uso di fertilizzanti di sintesi e pesticidi – presenta prospettive preoccupanti. Assistiamo all'estromissione forzata dai loro territori delle comunità native che vanno ad accrescere immense bidonville, all’estendersi delle coltivazioni di soia destinate agli allevamenti di bestiame (per una crescita dell’ alimentazione carnea) e di canna da zucchero e palme da olio per le merendine, e i biocarburanti dei nostri veicoli in crescita dirompente. Il tutto senza considerare la perdita della biodiversità naturale fatta di foreste, savane e paludi ancora intatte e rifugio di etnie autoctone, dai pigmei del Congo agli indios dell’Amazzonia, mentre specie uniche come l’orango o la tigre vedono i loro habitat invasi dalle colture industriali».

‒ Nel nostro Paese, invece, che situazione viviamo?

«Il consumo di suolo è tremendo, ogni giorno divoriamo col cemento 70-80 ettari di  territorio ingiustificatamente. Pensi allo stadio della Roma, ma non solo. Non stupiamoci poi se ci arrivano segnali allarmanti della febbre del pianeta come le piogge torrenziali a cui ormai ci stiamo abituando che in campagna fanno molti danni. E il nostro territorio è sempre più interessato da frane e alluvioni!»

‒ Il consumo delle risorse naturali è l’emergenza numero uno?

«Una delle più gravi, ma c'è anche l'uso sconsiderato delle sostanze chimiche, come i pesticidi, che alla fine entrano nella catena alimentare. Come ci spieghiamo altrimenti l’aumento dei casi di tumori nei bambini, di Parkinson e di Alzheimer? Per non parlare del pericolo dell’amianto, bandito dal 1992, ma dove ti affacci lo vedi ancora spuntare… È come se stessimo combattendo una guerra non dichiarata al Pianeta senza nessun segno di ravvedimento, ma prima o poi verrà un giorno in cui Qualcuno ci chiederà conto».

‒ Lei è credente?

«Sì, e sono preoccupato per i miei nipoti e per la Terra, perché un'altra non ne abbiamo. Quanto a me, beh, andare all’altro mondo credo che debba essere una cosa piacevole, non terrificante come pensano in tanti».