Non solo esplosioni e colpi secchi di armi automatiche. A Kabul un orecchio sensibile  riesce a sentire il ticchettio quieto, regolare, antico delle macchine da cucire. Magari a pedale, per non rischiare di fermarsi nel caso di black out elettrici. Nella martoriata capitale dell’Afghanistan, questo simbolo storico dell’operosità femminile è diventato per un gruppo di donne senza lavoro lo strumento del proprio riscatto. In un piccolo atelier della città queste donne realizzano abiti e ricami ispirati alla millenaria tradizione afghana, rivisitati per adattarli al gusto e agli stili di vita contemporanei, con materiali in gran parte locali: ad esempio la seta, una produzione radicata in questo Paese da quando, nel ‘500, la via della seta passava proprio da qui per rifornire i mercati europei della preziosa stoffa.


Alla fine dello scorso ottobre è stata presentata a Milano la collezione del Royah Ethical Design, il progetto ideato e condotto in Afghanistan da Arte-Fatto Onlus, una realtà nata a Milano nel 2008 per unire creatività italiana  e competenze locali, dando dare vita a un’attività imprenditoriale sostenibile, capace di restituire a donne private di tutto dalla guerra un progetto di lavoro e di vita. Nell’atelier Royah nascono così cappotti, giacche e gonne dallo stile unico, ma soprattutto nasce e cresce la volontà delle persone di essere agenti di cambiamento della propria vita attraverso le proprie capacità, smarcandosi dalla condizione di eterni assistiti.