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Il tempismo aggrava il fatto: l’aereo è partito lo stesso giorno in cui l’Unione Europea assegnava il premio Sakharov a Raif Badawi, il blogger saudita accusato di aver insultato i valori islamici e condannato dai giudici di Riad a mille frustate (a rischio della vita) e dieci anni di prigione. Ora il trentunenne si trova in carcere, mentre a gennaio, davanti a centinaia di spettatori, gli sono stati inflitti i primi 50 colpi e altre 19 sessioni simili saranno ripetute ogni sei mesi.
I diritti umani non sono mai stati di casa in Arabia Saudita, ma, di fronte ai soldi, anche l’Italia non si fa scrupoli. «Il carico partito da Cagliari», dice Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Opal di Brescia, «è con ogni probabilità una nuova fornitura di bombe fabbricate nell’azienda di Domusnovas». A pochi chilometri dal capoluogo sardo, infatti, ha sede lo stabilimento Rwm Italia munitions Srl, riconducibile al colosso tedesco degli armamenti Rheinmetall Defence, che produce anche i componenti degli ordigni Mk82 e Mk84.


Le bombe non sono le uniche armi italiani con cui l’Arabia Saudita combatte. Da anni gli sceicchi sono tra i principali acquirenti dell’industria della morte nostrana, acquistando caccia Eurofighter e missili Iris-Ti.
Eppure, per Amnesty International, Rete Disarmo e l’Opal, l’ultima spedizione è particolarmente «inaccettabile». Perché destinata a uno Stato in guerra e che, per di più, combatte senza alcun mandato internazionale. Da sette mesi, infatti, l’Arabia, con l’appoggio dei Paesi sunniti della regione, bombarda lo Yemen per contrastare l’avanzata del movimento sciita Houthi. Il bilancio: 4 mila morti (400 bambini), 20 mila feriti (di cui almeno la metà civili), un milione di sfollati e 21 milioni di persone che necessitano di aiuti umanitari.
C’è un’altra grave coincidenza temporale. Giovedì, mentre le bombe italiane volavano verso il Golfo, il segretario dell’Onu Ban Ki-moon condannava la distruzione dell’ospedale di Medici senza Frontiere e richiamava l’Arabia a «rispettare gli obblighi stabiliti dalle convenzioni per i diritti umani e del diritto umanitario internazionale per prevenire attacchi contro i civili».
Già a settembre le associazioni pacifiste avevano chiesto al Ministero degli Esteri di chiarire, mentre in Parlamento venivano depositate tre interrogazioni. Finora, dalla Farnesina, l’unica risposta è stata il silenzio.
«Gli ordigni», dice Francesco Vignarca di Rete Disarmo, «non avrebbero mai dovuto raggiungere quel teatro di conflitto, in quanto ogni vendita di armi deve essere autorizzata e la nostra legge sull’export di materiale militare (185/90) vieta espressamente forniture verso Paesi in guerra».
Per questo le associazioni pacifiste invitano i cittadini a mobilitarsi e ribadiscono la richiesta al Governo italiano: «Sospendere immediatamente l’invio di bombe e armamenti a tutti i Paesi impegnati nel conflitto in Yemen».
Per firmare l’appello di Amnesty International “Stop ai trasferimenti di armi in Yemen!” http://appelli.amnesty.it/conflitto-yemen/



