In meno di un mese il riacutizzarsi dei combattimenti in Sud Sudan ha provocato la morte di almeno un migliaio di persone e ne ha costrette alla fuga altre 200mila con un flusso giornaliero verso l'Uganda di non meno di 2.500 tra uomini, donne e bambini. Un ritmo insostenibile per un Paese, l'Uganda, che sull'altro fronte deve cercare di arginare l'arrivo di migliaia di profughi provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo. In Sud Sudan la situazione è tornata ad essere davvero critica tanto che anche l'Unhcr sta operando nel Paese con un organico ridotto ad appena 200 elementi "a causa dei combattimenti e dell'insicurezza in gran parte del Paese". Lo stesso governo sud-sudanese, pur minimizzando in generale sullo stato del conflitto, ha dichiarato lo stato di emergenza in due regioni, Unity e Jonglei.

Da qui, l'appello che i leader cristiani del Paese hanno lanciato dalle pagine del quotidiano "Sudan Tribune": «Condanniamo l'uccisione insensata di civili e facciamo appello al presidente Salva Kiir Mayardit e all'ex vice presidente Riek Machar di fermare i combattimenti e di negoziare pacificamente invece di ricorrere alle armi. Siamo stanchi della guerra, abbiamo bisogno della pace e la pace sud sudanese è una pace africana. La sensazione diffusa, ormai diventata paura, è che gli scontri in Sud Sudan rischino di trasformarsi in un conflitto su base etnico-tribale: «Raccomandiamo vivamente che tutte le tribù, che siano Dinka, Nuer, Shiluk, Lotuko, eccetera, non siano coinvolte nella violenza. Il conflitto scoppiato da poco a Juba non deve essere confuso come un conflitto Nuer-Dinka ma deve essere visto come uno scontro tra politici». Le speranze, a oggi, sono appese a un filo: un filo che da ieri è nelle mani dei rappresentanti delle due fazioni riuniti attorno allo stesso tavolo, ad Addis Abeba in Etiopia, per cercare anche attraverso la mediazione di altri interlocutori locali, una soluzione pacifica e immediata al conflitto.