La patria non si difende riarmandosi. I vescovi italiani, proprio mentre si discute del decreto sulle armi pubblica un documento dall’eloquente titolo “Educare a una pace disarmata e disarmante”. Nel solco degli appelli di papa Leone la Cei «in un tempo in cui governi, attori politici e perfino opinioni pubbliche considerano la guerra come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti», fa appello, invece, per trovare il coraggio di «vie alternative per dare sostanza al realismo lungimirante della cura della dignità umana e del creato. Vale allora la pena di far memoria di esperienze civili di grande spessore, cui i cattolici hanno contribuito». In primo piano il servizio civile obbligatorio, perché «la difesa della patria non si assicura solo con il ricorso alle armi, ma passa per la cura della civitas, attraverso l'obiezione di coscienza e il servizio civile». E allora «un servizio civile obbligatorio sarebbe un investimento per dare alle prossime generazioni l'occasione di praticare la cura per la dignità della persona umana e per l'ambiente, per opporsi all'ineguaglianza che si fa sistema sociale, all'inimicizia come qualifica delle relazioni fra esseri umani e popoli, alla soggezione dell'altro alle proprie ambizioni».

Inoltre la Cei si interroga sul ruolo dei cappellani militari: «C'è anche una forma di difesa della patria che si compie nelle Forze armate ed essa non può lasciare indifferente la Chiesa: anche qui occorrono forme di assistenza spirituale che esprimano un'attiva sensibilità di pace», scrivono. E propongono «forme nuove di assistenza spirituale per le Forze armate, che tengano anche conto dei cambiamenti che hanno interessato il ruolo delle donne e degli uomini che compiono questa scelta. Negli ultimi decenni le Forze armate italiane sono state sempre più impegnate in missioni all'estero sotto l'egida delle Nazioni Unite, non solo come forze di interposizione ma talvolta anche come parte integrante di itinerari di autentica pacificazione, portando stabilità politica, superamento dei conflitti, costruzione di processi di sviluppo. Ci chiediamo però anche se non si debbano prospettare diverse forme di presenza in tali contesti, meno direttamente legate a un'appartenenza alla struttura militare: esse consentirebbero maggior libertà nell'annuncio di pace specie in contesti critici».

Una educazione alla pace, riflettono i vescovi, in un momento in cui crescono antisemitismo, islamofobia e persecuzione dei cristiani e anche le religioni vengono strumentalizzate. In particolare dai «nazionalismi, che la riducono a carattere distintivo di un popolo, a elemento che lo separa dagli altri, definendone tradizioni e pratiche identitarie. La difesa della nazione si presenta come difesa della religione, e questa è tentata di giustificare promesse di grandezza mondana, destini imperiali e sopraffazione del nemico. Tale dinamica interessa realtà diverse, facendo riemergere componenti violente negli immaginari religiosi di molte tradizioni, quelle cristiane, purtroppo, ma anche gli altri monoteismi e le grandi religioni asiatiche. Religiosi o meno, i nazionalismi trovano consenso soprattutto nelle componenti della società più esposte alla crisi politico-economica, sensibili a riletture della storia che evocano una presunta età dell’oro per promettere prosperità a chi difende l’identità. Si giustificano così l’ostilità verso stranieri, minoranze religiose, diversi orientamenti sessuali, diverse convinzioni politiche. Si afferma il primato dell’identità per rassicurare un’umanità spaventata da mutamenti epocali, da rapporti economico-sociali iniqui, dalla devastazione ambientale».

Occorre agire in fretta per estirpare le radici dell’odio. A comincniare dal web e dai diversi media che dovrebbero diventare «luoghi in cui la pace va coltivata quotidianamente. Portare nei social media una visione nonviolenta significa contrastare la polarizzazione, promuovere linguaggi rispettosi, educare al discernimento critico e aprire spazi di dialogo autentico. Le grandi potenzialità della comunicazione digitale possono così essere orientate all'incontro, alla ricerca comune della verità e alla costruzione di comunità più giuste, nelle quali la cura reciproca prevalga sulla logica dello scontro».