Nella casa della famiglia di
Hany a Genova, Susan accoglie
gli ospiti offrendo
una delle sue prelibatezze,
il “basbousa”, un dolce
tipico dell’Egitto. Nel
resto delle stanze risuonano
le risate gioiose di
Helena, la figlia più piccola, sei anni.
Suo padre, Hany, sorride orgoglioso
quando gli si fa notare che ha il suo
stesso viso, come del resto le altre due
figlie maggiori, Myriam e Iostena.
«Noi a Helena parliamo in arabo e
lei ci risponde in italiano», osserva
Hany. Lui e Susan masticano un po’
della nostra lingua, la stanno apprendendo
pian piano. Per le figlie l’integrazione
è tutta un’altra storia.
Hany, sua moglie Susan e le tre figlie vivono da sei mesi a Genova. Sono
arrivati nel 2013 dall’Egitto. Sono
cristiani copti. Vivevano al Cairo, una
vita tranquilla, agiata, senza problemi.
Hany, 39 anni, dopo aver lasciato la facoltà
di Ingegneria, dal 1997 aveva un
lavoro stabile e redditizio in un’impresa di costruzioni. Susan, sua coetanea,
aveva un negozio di parrucchiera
ed estetista. Dopo la rivoluzione araba,
l’avvento al potere dei Fratelli musulmani
e, poi, la caduta del presidente
Mohamed Morsi, la situazione per
loro si è fortemente deteriorata.
Non parlano volentieri di cosa è
accaduto, preferiscono mantenere il
riserbo sui fatti. Ma spiegano di aver
subìto minacce, che toccavano tutta
la famiglia. Una situazione non più
sostenibile, che li ha spinti al passo
estremo: abbandonare tutto, la loro
casa, il lavoro, i familiari e cercare
rifugio in Italia. La prima meta,
spiega Hany, è stata Roma. Da lì
si sono spostati in Calabria, nel Comune
di Riace, dove sono rimasti per
sei mesi. In seguito sono stati inseriti
in un progetto di accoglienza diffusa
nella piccola comunità di Masone,
borgo di quasi quattromila abitanti in
provincia di Genova. A ottobre del 2013
hanno ottenuto lo status di rifugiati.
A Masone, dove sono rimasti per
due anni, Hany e la sua famiglia hanno
percorso il cammino dell’integrazione.
Le tre figlie sono tornate a
scuola, si sono inserite perfettamente
nell’ambiente scolastico e nella cerchia
delle amicizie. Lui, spirito volitivo
e intraprendente, ha trovato in modo
autonomo un lavoro a Milano. «Grazie
a un amico egiziano», racconta Hany,
«sono stato assunto con contratto a
tempo indeterminato come operaio
in una fabbrica. Dal lunedì al venerdì
vivevo a Milano, il fine settimana tornavo
a casa».
A Masone Hany e la sua famiglia
hanno trovato sostegno e una comunità
che ha spalancato loro le braccia
facendoli sentire a casa. Alla fine del
2015 la famiglia è uscita dal progetto
di accoglienza, ha cominciato
il suo processo verso la piena autonomia.
Hany e Susan hanno deciso di trasferirsi
a Genova, perché sanno che qui
le loro figlie avranno maggiori opportunità.
Hanno preso un appartamento
in affitto, Hany ha trovato lavoro
come guardiano notturno presso una
comunità di accoglienza per rifugiati.
Susan per ora sta a casa, il suo
sogno è tornare a lavorare come
parrucchiera, ma il suo diploma egiziano
qui non è riconosciuto e i corsi di
formazione per ottenere una certificazione
al momento sono troppo costosi
per lei. Myriam, la glia maggiore, ha
iniziato l’istituto alberghiero, ma a
settembre passerà all’istituto tecnico
tecnologico. Iostena inizierà le scuole
medie, Helena la primaria. A Genova
frequentano la comunità egiziana
copta, dove hanno trovato una rete
di relazioni. Hany, profondamente
credente, è molto impegnato e attivo
all’interno della chiesa copta.
I primi tempi in Italia sono stati
duri, ammette. Gli piacerebbe tornare
a lavorare nel suo settore, quello edile.
Ma è aperto a qualunque lavoro per offrire
alla sua famiglia una vita dignitosa.
Di una cosa lui e Susan sono sicuri:
in Egitto non torneranno più a vivere.
Non ci sono le condizioni.
«Abbiamo scelto di venire in Italia
», dicono, «perché assomiglia all’Egitto,
qui c’è un senso dei legami
familiari che in altri Paesi europei non
si trova. Se avessimo voluto arricchirci
avremmo scelto un altro Paese. Ma noi
cerchiamo la stabilità, non il denaro».
Il futuro? Hany allarga le braccia e
sorride: «Abbiamo lasciato tutto nelle
mani di Dio».