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La nuova vita di Hany e della sua famiglia

20/06/2016  Egiziani copti, sono fuggiti dal Cairo nel 2013. Ora vivono a Genova, dove hanno cominciato il percorso verso la loro piena autonomia

Nella casa della famiglia di Hany a Genova, Susan accoglie gli ospiti offrendo una delle sue prelibatezze, il “basbousa”, un dolce tipico dell’Egitto. Nel resto delle stanze risuonano le risate gioiose di Helena, la figlia più piccola, sei anni. Suo padre, Hany, sorride orgoglioso quando gli si fa notare che ha il suo stesso viso, come del resto le altre due figlie maggiori, Myriam e Iostena. «Noi a Helena parliamo in arabo e lei ci risponde in italiano», osserva Hany. Lui e Susan masticano un po’ della nostra lingua, la stanno apprendendo pian piano. Per le figlie l’integrazione è tutta un’altra storia.
Hany, sua moglie Susan e le tre figlie vivono da sei mesi a Genova. Sono arrivati nel 2013 dall’Egitto. Sono cristiani copti. Vivevano al Cairo, una vita tranquilla, agiata, senza problemi. Hany, 39 anni, dopo aver lasciato la facoltà di Ingegneria, dal 1997 aveva un lavoro stabile e redditizio in un’impresa di costruzioni. Susan, sua coetanea, aveva un negozio di parrucchiera ed estetista. Dopo la rivoluzione araba, l’avvento al potere dei Fratelli musulmani e, poi, la caduta del presidente Mohamed Morsi, la situazione per loro si è fortemente deteriorata.
Non parlano volentieri di cosa è accaduto, preferiscono mantenere il riserbo sui fatti. Ma spiegano di aver subìto minacce, che toccavano tutta la famiglia. Una situazione non più sostenibile, che li ha spinti al passo estremo: abbandonare tutto, la loro casa, il lavoro, i familiari e cercare rifugio in Italia. La prima meta, spiega Hany, è stata Roma. Da lì si sono spostati in Calabria, nel Comune di Riace, dove sono rimasti per sei mesi. In seguito sono stati inseriti in un progetto di accoglienza diffusa nella piccola comunità di Masone, borgo di quasi quattromila abitanti in provincia di Genova. A ottobre del 2013 hanno ottenuto lo status di rifugiati.
A Masone, dove sono rimasti per due anni, Hany e la sua famiglia hanno percorso il cammino dell’integrazione. Le tre figlie sono tornate a scuola, si sono inserite perfettamente nell’ambiente scolastico e nella cerchia delle amicizie. Lui, spirito volitivo e intraprendente, ha trovato in modo autonomo un lavoro a Milano. «Grazie a un amico egiziano», racconta Hany, «sono stato assunto con contratto a tempo indeterminato come operaio in una fabbrica. Dal lunedì al venerdì vivevo a Milano, il fine settimana tornavo a casa».
A Masone Hany e la sua famiglia hanno trovato sostegno e una comunità che ha spalancato loro le braccia facendoli sentire a casa. Alla fine del 2015 la famiglia è uscita dal progetto di accoglienza, ha cominciato il suo processo verso la piena autonomia. Hany e Susan hanno deciso di trasferirsi a Genova, perché sanno che qui le loro figlie avranno maggiori opportunità. Hanno preso un appartamento in affitto, Hany ha trovato lavoro come guardiano notturno presso una comunità di accoglienza per rifugiati. Susan per ora sta a casa, il suo sogno è tornare a lavorare come parrucchiera, ma il suo diploma egiziano qui non è riconosciuto e i corsi di formazione per ottenere una certificazione al momento sono troppo costosi per lei. Myriam, la glia maggiore, ha iniziato l’istituto alberghiero, ma a settembre passerà all’istituto tecnico tecnologico. Iostena inizierà le scuole medie, Helena la primaria. A Genova frequentano la comunità egiziana copta, dove hanno trovato una rete di relazioni. Hany, profondamente credente, è molto impegnato e attivo all’interno della chiesa copta.
I primi tempi in Italia sono stati duri, ammette. Gli piacerebbe tornare a lavorare nel suo settore, quello edile. Ma è aperto a qualunque lavoro per offrire alla sua famiglia una vita dignitosa. Di una cosa lui e Susan sono sicuri: in Egitto non torneranno più a vivere. Non ci sono le condizioni.
«Abbiamo scelto di venire in Italia », dicono, «perché assomiglia all’Egitto, qui c’è un senso dei legami familiari che in altri Paesi europei non si trova. Se avessimo voluto arricchirci avremmo scelto un altro Paese. Ma noi cerchiamo la stabilità, non il denaro». Il futuro? Hany allarga le braccia e sorride: «Abbiamo lasciato tutto nelle mani di Dio».

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