La pagina interna della rivista francese che documenta l'arrivo di Pio XII nel quartiere San Lorenzo dopo i bombardamenti del 19 luglio 1943. Sopra, la copertina con Pio XII in primo piano
«E il Papa la mattina da San Pietro uscì tutto da solo fra la gente. E in mezzo a San Lorenzo spalancò le ali. Sembrava proprio un angelo con gli occhiali». I versi di San Lorenzo di Francesco De Gregori restano bellissimi, ma sono ispirati a un parziale falso storico. La foto simbolo del primo bombardamento alleato su Roma, avvenuto giusto 74 anni fa, il 19 luglio 1943, quella che immortala Pio XII con le braccia spalancate e lo sguardo rivolto al cielo, non fu scattata in quell’occasione come per decenni si è pensato, ma davanti alla basilica di San Giovanni dopo il secondo bombardamento sulla capitale, avvenuto il 13 agosto del 1943. Così precisa il Centro di documentazione dei cimiteri storici all’ingresso del Verano, dove si trova la statua del Pontefice che ricorda quell’evento.
Il falso storico è tuttavia solo parziale, perché anche il 19 luglio Pio XII andò a confortare e benedire la popolazione romana dopo il terribile bombardamento nel quartiere San Lorenzo che causò oltre 1.500 morti: solo che fino a pochi mesi fa l’unica immagine di quel giorno era una foto sfuocata pubblicata da Il Messaggero. Nel febbraio scorso, invece, il giornalista di Metro e ricercatore dell’associazione Crsa-Sotterranei di Roma Lorenzo Grassi ha dato conto del ritrovamento su Internet da parte di un appassionato di storia e fondatore del gruppo Facebook Roma città aperta Carlo Galeazzi, di una copia della rivista francese Semaine Hebdomadaire illustré pubblicata il 29 luglio 1943. La copertina mostra Pio XII immerso tra la folla, mentre gli scatti all’interno documentano l’arrivo dell’auto che portava il Papa con il sostituto del segretario di Stato Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, nel quartiere dove sono ben visibili i segni lasciati dalle bombe.
Abbiamo chiesto allo storico dell’Università Cattolica di Milano Agostino Giovagnoli di commentare queste fotografie: «Sono indubbiamente documenti molto interessanti che confermano il particolare rapporto che c’era tra Pio XII e Roma: durante la guerra si adoperò in tutti modi per cercare di preservarla. Non ottenne mai una risposta formale dagli Alleati, ma di fatto ciò avvenne perché, a parte questi due bombardamenti, la città fu risparmiata».
Cosa significò per Pio XII andare in mezzo alla folla senza scorta?
«Rappresentò un gesto inaudito, considerando l’epoca e anche la sua personalità che era molto restìa al contatto umano. Sappiamo che Pio XII amava le grandi udienze, ma erano eventi in cui parlava dall’alto ai fedeli. Quando passeggiava per i Giardini vaticani, appena i giardinieri lo vedevano apparire da lontano, dovevano andarsene perché il Papa, a parte i suoi più stretti collaboratori, doveva sempre restare solo. Da questi scatti invece si percepisce lo stupore e l’emozione della gente di ritrovarsi accanto al Pontefice. C’è persino chi si arrampica sui muri per vederlo».
E tornando in Vaticano, la sua assistente suor Pascalina notò che la sua veste bianca era macchiata di sangue. Gli chiese se si era ferito e lui rispose con la famosa frase: «Sorella, non è il mio sangue. Questo è il sangue di Roma». Ma perché andò senza scorta? Non ci fu il tempo per organizzarla?
«Penso che andò proprio così. Teniamo conto che fu Giovanni XXIII il primo Papa dell’età moderna a varcare con continuità le mura vaticane per far visita alle parrocchie, ai malati del Bambin Gesù, ai carcerati di Regina Coeli. Prima non era così e quindi ogni uscita del Santo Padre in territorio italiano doveva essere accuratamente pianificata. In quel caso, evidentemente, Pio XII fece saltare tutti i protocolli pur di essere vicino nel più breve tempo possibile alla gente, che vedeva in lui l’unico punto di riferimento rimasto. Non a caso, quando nel 1958 morì, molti giornali lo definirono “il Papa della pace”. E non a caso, invece, Mussolini e il re Vittorio Emanuele III si guardarono bene dal farsi vedere a San Lorenzo quel giorno: sapevano che il loro consenso era crollato. Pochi sanno, inoltre, che alcuni mesi dopo Roberto Farinacci, ras della Repubblica di Salò, fece bombardare le apparecchiature di Radio Vaticana perché riteneva che da lì si inviassero dei messaggi agli Alleati».
Fu anche per questo motivo che solo Il Messaggero documentò quel primo bombardamento? Agì cioè la censura fascista?
«È probabile. Di sicuro il secondo bombardamento, quando il Papa andò in San Giovanni in Laterano, fu ampiamente documentato dall’Istituto Luce. Mussolini era già caduto e in quei 45 giorni dal 25 luglio all’8 settembre di grande euforia, in cui sembrava che non solo il fascismo, ma anche la guerra sarebbe finita di lì a breve, i funzionari avranno ritenuto opportuno schierarsi con il vento che tirava, come sempre si fa in questi casi».
Nelle foto si percepisce il grande calore che la gente ha per il Papa. C’è perfino un uomo che sembra sorridere, quasi a voler dire: «Santità, ne abbiamo viste tante: passerà pure questa...».
«È da sempre il tipico atteggiamento dei romani nei confronti dei Pontefici: il Papa si può criticare, però possiamo farlo solo noi. Perché il Papa è il Papa. E Roma è quella che è anche perché c’è il Papa».