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martedì 30 maggio 2023
 
Omicidio Bonhoeffer: 70 anni
 

70 anni fa l'uccisione di Bonhoeffer: non siamo mai soli

09/04/2015  La preghiera del teologo luterano ucciso dai nazisti il 9 aprile 1945.

C'è buio in me
in te invece c'è luce;
sono solo, ma tu non m'abbandoni;
non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto;
sono inquieto, ma in te c'è la pace;
c'è amarezza in me, in te pazienza;
non capisco le tue vie, ma
tu sai qual è la mia strada.
Tu conosci tutta l'infelicità degli uomini;
tu rimani accanto a me,
quando nessun uomo mi rimane accanto,
 tu non mi dimentichi e mi cerchi,
tu vuoi che io ti riconosca
e mi volga a te.
Signore, odo il tuo richiamo e lo seguo,
aiutami!
Signore, qualunque cosa rechi questo giorno,
il tuo nome sia lodato!

 E’stupendo l’afflato consolatorio di questa preghiera che Dietrich Bonhoeffer scrisse per i compagni di prigionia nel Natale del 1943 ma che potrebbe essere una rinvigorente giaculatoria per chiunque viva un dolore, una sofferenza o semplicemente un momento di sconforto. Lui, il teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer, ucciso 70 anni fa - il 9 aprile del 1945 - nel campo di concentramento nazista di Flossenbürg con l’accusa di aver partecipato ad una congiura contro il regime di Adolf Hitler, la scrisse in ben altre condizioni, vivendo la fede e la speranza fino alla fine. Fino a quando pochi attimi prima di essere impiccato, si era inginocchiato e aveva pregato il suo Dio certo che non lo avrebbe abbandonato nemmeno nel momento in cui sarebbe salito sul patibolo.

 La sua colpa era stata di apporsi apertamente al nazismo, dopo esserne stato incuriosito agli albori, come aveva spiegato molto bene a un suo conoscente: “Qui, anche proprio nella nostra posizione verso lo Stato, si deve parlare in modo del tutto franco, per amore di Gesù Cristo e della causa ecumenica. Dev’essere chiaro, per quanto terribile sia, che di fronte a noi sta questa decisione: o nazionalsocialisti oppure cristiani». La Chiesa secondo lui non poteva limitarsi a consolare le vittime ma doveva agire per combattere chi seminava il male e su questo snodo fondamentale ragionò spesso nei suoi numerosi scritti sul rapporto tra religione e società e tra fede e azione.

 A questo proposito è diventata famosa la frase pronunciata a un compagno di prigionia italiano, a cui con parole molto semplici spiegò «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante». Non rimanere inermi di fronte alla violenza, dunque, era il suo continuo invito, ma a70 anni dalla sua esecuzione quel che colpisce ancora il cuore è l’accettazione serena della morte e la gioiosa certezza che dopo ci fosse chi lo attendeva per sempre nella pace.

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