Morti e danni frutti dei combattimenti in aree abitate dell'Ucraina. Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia di stampa Reuters.
Le cifre pubblicate dall'ufficio Onu per il coordinamento dei diritti umani (Ocha) e rilanciate dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, non possono lasciare indifferenti. Negli ultimi dieci anni, le vittime dell'uso di armi esplosive in aree abitate sono state, in tutto il mondo, circa 238 mila: nove su dieci erano civili e non militari. Così in Ucraina, ma prima ancora in Siria, Yemen, Libia. Si tratta di uomini, donne e bambini falciati da missili, bombe d'aereo, colpi di mortaio, proiettili d'artiglieria, ordigni telecomandati o confezionati in maniera artigianale, ma non per questo meno letalie.
A questa strage l'Onu, il Comitato internazionale della Croce Rossa, la società civile internazionale e i Governi più sensibili vogliono poprre un freno. Venerdì 18 novembre, a Dublino, oltre 80 Paesi hanno aderito alla Dichiarazione politica internazionale «per rafforzare la protezione dei civili dalle conseguenze derivanti dall’uso delle armi esplosive nelle aree popolate», durante una Conferenza intergovernativa organizzata dall'Irlanda.
«Il Governo italiano attribuisce grande valore a questo processo, che si inserisce nel solco dell’impegno del nostro Paese a sostegno dei diritti dell’uomo e del protezione dei civili nei conflitti, così come di una più compiuta attuazione del diritto internazionale umanitario», ha dichiarato Maria Tripodi, sottosegretaria per gli Affari Esteri. «La Dichiarazione include nel suo ambito di applicazione una nozione estesa del concetto di protezione dei civili, non limitata alla mera ricognizione degli effetti diretti e immediati derivanti dall’uso di armi esplosive, bensì tale da considerare i danni che nel medio-lungo termine compromettono tanto il diritto dei singoli ad un’esistenza libera e dignitosa, quanto beni di natura collettiva, come la salute, l’educazione, uno sviluppo equo e sostenibile»
L’Associazione nazionale vittime civili di guerra, la Campagna italiana contro le mine e la Rete italiana pace e disarmo, che hanno rilanciato in Italia l’iniziativa internazionale sulle armi esplosive con lo slogan “Stop alle bombe sui civili”, hanno espresso viva soddisfazione per la firma del nostro Paese.
Rilanciando l’invito della coalizione internazionale Inew sulle armi esplosive a impegnarsi per l'universalizzazione e l'implementazione della Dichiarazione, le organizzazioni del coordinamento italiano auspicano che l’Italia si impegni in questa direzione con coraggio e determinazione al fine di rendere il documento realmente efficace nell’alleviare le sofferenze dei civili causate dalle armi esplosive nelle aree popolate.
La Dichiarazione firmata a Dublino non è (ancora) un Trattato vincolante tra Governi come quello, ad esempio, contro le mine antiperosna e le bombe a grappolo. Non è un punto d'arrivo, ma un buon punto di partenza. In Irlanda il diritto umanitario internazionale s'è rimesso in moto.