La celebrazione del Sinodo speciale per l’Amazzonia ha generato atteggiamenti contrastanti, alcuni dei quali di contrapposizione integralistica, come le preghiere perché la Chiesa si salvi dal paganesimo e, da ultimo, il furto delle statuette nella chiesa di Santa Maria della Traspontina, una delle quali raffigurante la Pachamama (madre terra). Le raffigurazioni indigene sono state gettate nel Tevere, mentre il tentativo di trafugare una statua più grande non è riuscito. Certamente, come ha notato qualche commentatore, non si può considerare il gesto alla stregua di una “pasquinata”, da archiviare magari con un sorriso di compassione per chi lo ha compiuto. A mio avviso in esso si nasconde qualcosa di preoccupante: ovvero l’ignoranza colpevole e ostinata di chi ritiene che si debba distruggere tutto quanto non è cristiano per rivendicare la propria identità di credenti in Cristo, impiantando la croce sulle macerie della storia e dell’umano che le culture e le religioni rappresentano.
La fede non distrugge la cultura autentica, ma si innesta su di essa, mentre al tempo stesso converte e purifica gli elementi spuri e antiumani presenti nelle altre appartenenze. Nel corso del dibattito sinodale, ad esempio, si è discusso degli infanticidi, perpetrati in alcune tribù amazzoniche, nei confronti di bimbi nati con malformazioni fisiche. Alcuni interventi hanno fatto notare come al momento si tratti di comportamenti decisamente minoritari e di come il Cristianesimo, grazie ai missionari, abbia contribuito a sradicare questa prassi antiumana e per questo moralmente inaccettabile. Accanto a questa attitudine alla conversione/purificazione, va sottolineata la prassi cristiana, fin dalle origini, di non sradicare le culture, ma innestare su di esse la buona notizia del Vangelo. Così il cristianesimo non solo non ha distrutto la cultura, e il pensiero greco e il diritto romano, ma ha custodito queste profonde e autentiche espressioni dell’umanità. Senza il lavoro degli amanuensi, quanti tesori dell’antica sapienza ci sarebbero del tutto sconosciuti? Istruttivo può essere anche considerare come la fede cristiana nella Madre di Dio (Theotokos) abbia trovato spunto nel culto di Iside, che veniva così denominata e lo abbia saputo trasformare, applicando il titolo, attribuito ad una dea, a una donna come Maria di Nazareth (il che doveva sembrare inaudito e improponibile per molti).
Questo innesto/purificazione/connessione non vale solo per il paganesimo antico e storico, così come lo abbiamo appreso dai libri di scuola, ma anche per quelle culture pagane, che rinveniamo in terre lontane dalla vecchia Europa, quali quella africana e quella originariamente latino-americana. Nulla quindi vieta di interpretare la raffigurazione della madre terra in senso mariano e come espressione di profondo rispetto per la natura, che, in quanto creata, porta la traccia del Creatore. Una prospettiva metodologica che dovrebbe farci riflettere ho avuto modo di leggerla recentemente nel bel libro del provinciale dei gesuiti nigeriani Agbonkhiannmeghe E. Orobator, Confessioni di un animista. Fede e religione in Africa: “Invece di sostituire il modo di vivere africano, il cristianesimo ha costruito su di esso; per questo, ed è ciò che io sostengo, il cristianesimo è radicato nel suolo della religione africana”. Quando invece si è preteso di sostituire e distruggere l’umano, invece dell’evangelizzazione, si è instaurato il colonialismo, col conseguente rifiuto della fede, confusa con la cultura dei colonizzatori.
Direi quindi che siamo noi a dover pregare per chi intende in maniera fanatica la propria identità e perché l’azione ecclesiale riesca sempre più a innestare il Vangelo nelle diverse culture e forme di religiosità.