E' già passata da un bel po' la mezzanotte, quindi siamo già nel giorno di San Valentino, quando Giovanni Allevi si presenta all'Ariston per eseguire al pianoforte l'inno al romanticismo “Loving you”, il singolo del suo nuovo album “Love”. Solita maglietta a mezze maniche da adolescente, solita cascata di riccioli, soliti occhiali neri. Sembra che nel pianista e compositore marchigiano non sia cambiato niente dalle sue ultime apparizioni in pubblico.
E invece non è così, come ci ha raccontato nella hall dell'albergo sanremese dove soggiorna in questi giorni.
Il tuo disco si intitola “Love”, amore. Se accendiamo la Tv, dall'Ucraina all'Isis, sembra che il mondo vada da un’altra parte. Che senso ha fare un titolo così?
“Vorrei fare mio il messaggio di papa Francesco: riscopriamo l’essere umano insondabile e misterioso che siamo e allora solo così riusciremo a ritrovare lo stupore incantato nei confronti dell’altro anche se è diverso da noi”.
In questo disco è molto presente la tua famiglia: c’è una canzone che si intitola “La stanza dei giochi”, quella dei tuoi due bambini, e nelle note che accompagnano il Cd c’è una dedica a tua moglie.
“La mia famiglia è il mio rifugio, è la mia Itaca, spesso sono lontano per lavoro e mi accompagna durante la tournée un sottile senso di colpa che tutti i papà condividono. Il minimo che possa fare è dedicare loro alcune mie composizioni e soprattutto cercare di vivere più intensamente possibile il momento in cui sono insieme ai bimbi e magari cogliere in quel momento l’ispirazione per un brano musicale”.
Loro che rapporto hanno con la musica?
“Voglio lasciarli liberi, Io penso che i bambini debbano giocare il più possibile. Noi abbiamo il dovere di porre davanti a loro una tavolozza di colori più ampia possibile, lo spettro maggiore di possibilità in termine di gioco, di sperimentazioni, anche di avvicinamento di strumenti musicali o a forme espressive, poi saranno loro a scegliere la strada da intraprendere”.
Sei stato insegnante. Come dovrebbe essere insegnata secondo te la musica ai giovani?
“Io sono stato insegnante di educazione musicale alla scuola media, sono stato insegnante di sostegno per tanti anni e poi sono stato anche insegnante di pianoforte all’interno dell’esperienza straordinaria che è la scuola media sperimentale ad indirizzo musicale. Quindi credo di aver attraversato l’esperienza didattica in tutte quante le sue forme. Io ho un sogno: che lo studio dello strumento musicale nella scuola media venga esteso a tutti i ragazzi, non soltanto a poche sezioni. I ragazzi sono entusiasti di poter avvicinarsi a uno strumento musicale, gli si dischiude un mondo straordinario, diamo loro una cultura musicale, e loro hanno la possibilità anche di fare musica d’insieme, insomma: vivono la scuola media come se fosse Saranno Famosi”.
Non pensi che oltre allo strumento sia necessaria un'educazione all’ascolto?
“Faccio un esempio pratico. Le sonate per violoncello solo di Bach sono dei capolavori assoluti, ma per capirle veramente in profondità probabilmente devi aver studiato il violoncello. Io ho visto ragazzini alla scuola media avvicinarsi allo studio del violoncello e subito dopo rimanere a bocca aperta di fronte all’ascolto delle sonate del violoncello solo di Bach. Questo che cosa significa? Che noi dobbiamo dare ai ragazzi gli strumenti per comprendere e capire la musica, dopodichè saranno loro a scegliere liberamente di ascoltare ciò che è più vicino alle proprie corde e soprattutto daremo loro la possibilità di approcciarsi a dei capolavori con una consapevolezza maggiore”.
Deve quindi partire tutto dallo strumento?
“Sì, dalla pratica dello strumento e dalla gioia di fare musica insieme".
Una delle critiche che ti viene mossa è che il tuo successo tra i giovani è dovuto al fatto che non conoscono i grandi della musica classica. Come rispondi?
“In realtà moltissimi studenti di conservatorio sono miei fan scatenati. Poi magari devono nascondere ai loro professori...”
Dalle critiche positive che hai ricevuto per questo tuo ultimo disco, sembra che tu abbia fatto un po' pace con il mondo accademico che tanto ti ha attaccato. E' così?
“Sì, pace fatta, molti pregiudizi sono caduti, tanto che alcuni direttori di conservatorio cominciano a chiedermi di fare incontri con gli studenti”.
Gli attacchi sono arrivati anche a causa di alcune tue dichiarazioni come: “Beethoven non ha ritmo, Jovanotti sì”. Confermi?
“Quella frase è stata semplificata e estrapolata da un discorso molto più ampio.Davanti a una platea di giovani avevo detto una verità incontestabile e cioè che la musica che le giovani generazioni ascoltano da almeno 70 anni è centrata sul ritmo, una caratteristica che gli autori della tradizione classica non potevano conoscere. Ovviamente non mi sono mai sognato di sostenere che Jovanotti sia un compositore più valido di Beethoven, perché si tratta di due artisti appartenenti a due epoche totalmente differenti”.
Quindi nessun errore, non ti rimproveri nulla?
"No, di errori ne ho fatti tanti e continuerò a farli. L’unica cosa è che in questo mondo quando tu sei fortemente convinto di qualche cosa e soprattutto vuoi innovare una tradizione è inevitabile che ti scontri con coloro che invece vogliono mantenere lo status quo, ma io li capisco".
Perché nel video che accompagna “Lovin you”, il singolo tratto dal tuo nuovo album, ti sei raffigurato come un cartone animato?
“Anche quando firmo gli autografi mi raffiguro come un pupazzetto. Evidentemente c’è una parte fanciullesca di me che scalpita e che vuole venire a galla. Anche questo non mi è stato perdonato dal mondo accademico musicale, che invece è spesso concentrato sull’idea superomistica di un uomo virile che manifesta una grande sicurezza. Io non ho la verità in tasca e spero di rimanere in contatto con il bambino che sono stato”.